Tesi magistrale
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852 lines
39 KiB

  1. \chapter{Metodi}
  2. \label{cap:methods}
  3. %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%%
  4. \section{Stabilizzazione meccanica}
  5. \label{sec:stabilization}
  6. L'isolamento meccanico fornito dagli elastomeri e dal
  7. tavolo ottico non è sufficiente a
  8. mantenere la posizione del campione stabile al livello di precisione
  9. del nanometro, precludendo la possibilità di poter eseguire misurazioni
  10. di forza con la sensibilità del \si{pN}.
  11. Gli effetti più evidenti e rilevabili sono rapide oscillazioni della
  12. posizione del campione dovute a vibrazioni acustiche residue e,
  13. in aggiunta a queste, una più lenta deriva della posizione dovuta
  14. alla dilatazione o alla compressione delle strutture del microscopio
  15. in conseguenza delle fluttuazioni termiche.
  16. Senza alcuna correzione, sono sufficienti fluttuazioni termiche
  17. dell'ordine dei decimi di grado per causare, su tempi di osservazione
  18. di qualche minuto, una significativa e progressiva deriva rispetto
  19. alla posizione iniziale ($> \SI{100}{\nm}$).
  20. Per quantificare quest'effetto viene usato un apposito campione in cui
  21. diverse microsfere in silice, di diametro \SI{0.5}{\um}, vengono
  22. immobilizzate in uno strato di nitrocellulosa depositato nella
  23. superficie interna del vetrino coprioggetti.
  24. Le varie fasi per la preparazione di questo campione sono descritte
  25. in dettaglio nell'appendice \ref{app:protocols}, protocollo
  26. \ref{proto:silica_beads_flow_cell}.
  27. Le microsfere immobilizzate nel campione possono essere messe a fuoco
  28. e visualizzate attraverso il sistema di microscopia a luce trasmessa.
  29. Una volta selezionata e messa a fuoco una microsfera, analizzando
  30. l'immagine prodotta da uno dei due sensori CMOS è possibile, dopo aver
  31. filtrato i pixel con una soglia d'intensità ($I_S$) determinate empiricamente,
  32. in modo da non considerare il segnale residuo nello sfondo, calcolare
  33. le coordinatedel suo centroide:
  34. \begin{equation}
  35. (x_{cen}, y_{cen}) =
  36. \frac{
  37. \sum_{(x, y)} (x, y) I(x, y)
  38. }{
  39. \sum_{(x, y)} I(x, y)
  40. }
  41. \end{equation}
  42. La sommatoria si intende estesa a tutti i pixel con coordinate $(x, y)$
  43. dell'immagine che verificano la condizione di soglia $I(x, y) > I_s$.
  44. $I(x, y)$ è l'intensità del pixel misurata in unità del CMOS.
  45. Per evitare di considerare altre microsfere o imperfezioni sul campione
  46. si sceglie di effettuare il calcolo del centroide limitando la regione
  47. dell'immagine utilizzata a un rettangolo nel quale una microsfera è
  48. sufficientemente isolata.
  49. Ricalcolando il centroide a intervalli temporali fissati è possibile
  50. osservare la deriva della posizione (x, y) della microsfera.
  51. Inoltre si ha la possibilità di sfruttare questo stesso campione per effettuare
  52. una calibrazione del fattore di conversione pixel/nm della telecamera
  53. lungo due assi ortogonali.
  54. Per effettuare la calibrazione, dopo aver calcolato il centroide
  55. della microsfera, si sposta la posizione dal campione lungo uno dei
  56. due assi di una distanza ben definita, utilizzando il traslatore
  57. piezoelettrico. A questo punto, calcolando la nuova posizione del
  58. centroide si ottiene il rapporto tra lo spostamento comandato al
  59. traslatore (in \si{\nm}) e la variazione del centroide (in pixel).
  60. Ripetendo questa operazione in sequenza per vari punti si ottiene
  61. una curva di calibrazione per l'asse scansionata, dalla quale è
  62. possibile estrarre la costante di proporzionalità con un \textit{fit}
  63. lineare.
  64. Risulta più complesso invece stimare la deriva del piano focale:
  65. per questo motivo è stato sviluppato un metodo per determinare, a
  66. partire dalle immagini, un valore che sia linearmente proporzionale
  67. alla quota del piano focale rispetto al centro della sfera.
  68. Il metodo sviluppato sfrutta le caratteristiche dalla distribuzione
  69. radiale della luce diffusa dalla microsfera.
  70. In figura \ref{fig:radial_itensity} è rappresentato l'andamento del
  71. profilo radiale che si ottiene variando la quota del piano focale (z).
  72. Il profilo radiale è stato calcolato, dopo aver determinato il centroide
  73. della microsfera, per ogni valore intero di $r$, come la media delle
  74. intensità dei pixel la cui distanza dal centro (approssimata all'intero
  75. più vicino) sia uguale a $r$.
  76. \begin{figure}[ht]
  77. \centering
  78. \includegraphics{images/radial_intensity.pdf}
  79. \caption{Profilo di intensità radiale rispetto al centroide
  80. per una microsfera, in diversi piani.}
  81. \label{fig:radial_itensity}
  82. \end{figure}
  83. Da questi dati è stato possibile osservare che il rapporto tra
  84. l'intensità integrata in un anello centrato sulla microsfera e quella
  85. integrata nella regione interna al medesimo anello (regioni arancioni
  86. e gialle in figura), mostra un andamento proporzionale alla quota
  87. del piano focale in un certo intorno del centro della sfera.
  88. In figura \ref{fig:z_est} viene mostrato l'andamento del rapporto
  89. tra l'intensità media in un anello con raggi interno ed esterno
  90. rispettivamente di \SIlist{80;160}{pixel} e l'intensità media
  91. calcolata in un raggio di \SI{60}{pixel}.
  92. \begin{figure}[ht]
  93. \centering
  94. \includegraphics[scale=0.8]{images/z-est.pdf}
  95. \caption{Andamento del rapporto intensità anello/cerchio in
  96. funzione della quota del piano focale.}
  97. \label{fig:z_est}
  98. \end{figure}
  99. Come si può osservare la quantità così definita può essere usata
  100. per determinare la quota con una discreta sensibilità in
  101. un intervallo di \SIrange{3}{4}{\um} intorno al centro della sfera.
  102. Analogamente a quanto fatto per gli assi x e y è possibile eseguire
  103. una calibrazione spostando il campione di una quota controllata
  104. attraverso il traslatore piezoelettrico dell'obiettivo, e costruire
  105. una curva di calibrazione come quella in figura \ref{fig:z_est}.
  106. La curva in figura \ref{fig:z_est} è stata realizzata acquisendo dieci
  107. immagini per ciascuna quota e campionando la quota a passi di 300
  108. nm. Per la regione in cui l’andamento è lineare (delimitata tra le
  109. barre rosse in figura, tra \SI{2.8}{\um} e \SI{5.6}{\um}) è stato
  110. eseguito un fit lineare ottenendo i seguenti parametri:
  111. \begin{table}[ht]
  112. \centering
  113. \begin{tabular}{ l l l }
  114. \toprule
  115. {\it Nome parametro} & {\it Valore} & {\it Err. percentuale}\\
  116. \midrule
  117. Costante & $(0.9520\pm0.0025)$ & 0.26\% \\
  118. Pendenza & $(0.0206\pm0.0006)\si{\um^{-1}}$ & 2.9\% \\
  119. \bottomrule
  120. \end{tabular}
  121. \caption{Parametri del fit per la determinazione di z a partire dalle immagini.}
  122. \end{table}
  123. Conoscendo quindi tre fattori di calibrazione è possibile, partendo
  124. da un'immagine della microsfera, ottenere una stima della sua
  125. posizione nello spazio tridimensionale. Questo ci permette
  126. di implementare un sistema attivo di stabilizzazione meccanica del
  127. microscopio. Continuando a monitorare la sfera, mediante l'illuminazione
  128. a luce trasmessa, mentre si
  129. eseguono le misurazioni di forza è possibile rilevare gli spostamenti
  130. del campione e compensarli inviando appositi comandi ai traslatori
  131. piezoelettrici.
  132. In ambiente LabVIEW ho sviluppato un codice di controllo
  133. che implementa un meccanismo di retroazione tra le letture sulla
  134. posizione della sfera e i traslatori piezoelettrici.
  135. Il codice consente all'operatore di selezionare la regione
  136. d'interesse intorno a una microsfera immobilizzata sul vetrino
  137. coprioggetti. Successivamente, quando la stabilizzazione viene
  138. attivata, il codice acquisice diverse immagini della microsfera e
  139. ne stima la posizione iniziale in termini di coordinate (x, y, z),
  140. usando i fattori di conversione determinati con la calibrazione.
  141. A questo punto viene avviato un ciclo di retroazione: continuando
  142. ad acquisire immagini della microsfera (a una frequenza che può
  143. arrivare fino a \SI{100}{\Hz}), viene comandato ai traslatori
  144. uno spostamento proporzionale alla differenza tra la posizione della
  145. sfera rilevata e quella iniziale.
  146. Il fattore di proporzionalità del ciclo di retroazione
  147. (guadagno, $g$) influenza
  148. le caratteristiche della risposta del sistema: un fattore troppo
  149. elevato causerà una sovracorrezione delle perturbazioni, inducendo
  150. oscillazioni smorzate, mentre un fattore troppo piccolo aumenterà
  151. inutilmente il tempo di risposta. Per trovare il valore ottimale
  152. si osserva la risposta del sistema per diversi valori di $g$, in
  153. seguito ad una perturbazione fittizia ottenuta modificando di
  154. \SI{50}{\nm} il \textit{set point} del sistema di retroazione
  155. lungo una direzione.
  156. In figura \ref{fig:step_response} si riporta la risposta del
  157. sistema di stabilizzazione per gli assi $x$ e $z$ a diversi valori
  158. del fattore di proporzionalità $g$.
  159. \begin{figure}
  160. \centering
  161. \includegraphics{images/step_response.pdf}
  162. \caption{Risposta del sistema a una perturbazione di \SI{50}{\nm}
  163. lungo l'asse $x$ (sinistra) e $z$ (destra).}
  164. \label{fig:step_response}
  165. \end{figure}
  166. Quando il sistema di stabilizzazione meccanica viene attivato
  167. è stato possibile mostrare che la posizione media del campione resta
  168. stabile indipendentemente dal tempo di osservazione, con fluttuazioni
  169. che hanno una deviazione standard di circa \SI{1}{\nm}.
  170. L'acquisizione di diverse tracce della durata di 5-10 minuti ha
  171. sempre mostrato deviazioni standard delle fluttuazioni comprese
  172. tra \SIlist{1;2}{\nm}.
  173. In figura \ref{fig:active_stab} vengono riportati i tracciati delle
  174. fluttuazioni della posizione del campione, con (nero) e senza
  175. (rosso) l'intervento del sistema di stabilizzazione attiva.
  176. \begin{figure}[ht]
  177. \centering
  178. \includegraphics{images/active_stab.pdf}
  179. \caption{Deriva della posizione del campione con e senza sistema di
  180. stabilizzazione attivato.}
  181. \label{fig:active_stab}
  182. \end{figure}
  183. \section{Calibrazione dei parametri delle trappole}
  184. \label{sec:calibration}
  185. Per poter eseguire misurazioni di forza su sistemi biologici è
  186. fondamentale riuscire a conoscere il valore della tensione applicata
  187. alle microsfere intrappolate nelle pinzette ottiche. Questo si può
  188. effettuare poiché l'azione di una pinzetta ottica su una
  189. microsfera può essere modellizzata come una forza di richiamo
  190. elastica (vedi sezione \ref{sec:ot}).
  191. Conoscendo la costante di richiamo è possibile mettere in relazione
  192. la posizione della sfera rispetto al centro della trappola
  193. (rilevabile tramite i QPD) con la risultante delle altre forze
  194. esterne che agiscono sulla microsfera.
  195. Quando la microsfera viene messa in movimento da una forza esterna,
  196. è necessario considerare anche l'attrito viscoso con
  197. il fluido in cui è immersa. La forza dovuta all'attrito viscoso
  198. avrà la forma:
  199. \begin{equation}
  200. \vec{F}_{visc} = - \gamma \vec{v}\
  201. \end{equation}
  202. Dove $\gamma$ è il coefficiente di attrito idrodinamico della
  203. microsfera.
  204. Nel caso più generale la microsfera sarà inoltre soggetta a una
  205. sforza stocastica ($\eta(t)$), dovuta agli urti con il fluido, e
  206. a una forza esterna $\vec{F}$, ad esempio dovuta alla tensione di una
  207. biomolecola legata ad essa.
  208. Possiamo quindi scrivere la forma più generale dell'equazione di moto
  209. come:
  210. \begin{equation}
  211. \label{eq:bead_motion}
  212. \underbrace{m \ddot{\vec{x}}}_\text{inerzia} =
  213. \underbrace{\vec{F}}_\text{f. esterna}
  214. + \underbrace{\mathbf{\eta}(t)}_\text{f. stoc.}
  215. - \underbrace{\gamma \dot{\vec{x}}}_\text{attrito}
  216. - \underbrace{k \vec{x}}_\text{richiamo}
  217. \end{equation}
  218. La forza stocastica $\eta(t)$ ha media nulla
  219. ($\langle\eta(t)\rangle_t = 0$)
  220. e viene assunta con distribuzione di probabilità gaussiana con
  221. $\sigma^2 = 2 k_B T \gamma$.
  222. In condizioni di equilibrio la posizione media della microsfera
  223. sarà quindi:
  224. \begin{equation}
  225. \vec{x_0} = \langle \vec{x(t)} \rangle_t = - \frac{\vec{F}}{k}
  226. \end{equation}
  227. E la deviazione standard delle fluttuazioni rispetto alla posizione
  228. di equilibrio può essere determinata usando il teorema di
  229. equipartizione dell'energia:
  230. \begin{multline}
  231. \langle U(x) \rangle = \frac{1}{2} k \langle (x-x_0)^2 \rangle
  232. = \frac{1}{2} k_B T
  233. \\ \Longrightarrow
  234. \langle (x-x_0)^2 \rangle
  235. = \langle x^2 \rangle - \langle x \rangle^2
  236. = \sigma_x^2 = k_B T / k
  237. \end{multline}
  238. Oltre alla conoscenza di $k$, un altro valore importante da stimare
  239. è il tempo di rilassamento $\tau$ del sistema, ovvero la scala
  240. temporale nella quale la microsfera si stabilizza nella nuova
  241. posizione di equilibrio a seguito di una variazione della forza $F$.
  242. Questo tempo è strettamente legato allo smorzamento dovuto all'attrito
  243. idrodinamico.
  244. Osservando l'equazione di moto \ref{eq:bead_motion} si può
  245. descrivere la dinamica della sfera in due regimi estremi:
  246. \begin{itemize}
  247. \item il regime \textit{balistico}, quando il moto è dominato dalla componente inerziale, con un tempo caratteristico
  248. di rilassamento $\tau_{\textrm{bal}} = m / \gamma$.
  249. \item il regime \textit{diffusivo}, qunado il termine inerziale
  250. legato alla massa è trascurabile, con un tempo di rilasamento
  251. $\tau_{\textrm{diff}} = \gamma / k$.
  252. \end{itemize}
  253. Tenendo conto delle caratteristiche delle microsfere
  254. si hanno valori $\tau_{\textrm{bal}} < \SI{1}{\us}$, mentre
  255. per i valori di $k$ ottenibili con il nostro sistema di pinzette
  256. ottiche è possibile ridurre $\tau_{\textrm{diff}}$ fino a circa
  257. \SI{100}{\us}.
  258. Il tempo di risposta del sistema nel regime balistico è quindi
  259. completamente trascurabile, e il transiente tra una perturbazione
  260. e la stabilizzazione nella nuova posizione di equilibrio può
  261. essere descritto trascurando il termine inerziale dell'equazione di moto.
  262. Il protocollo di calibrazione sviluppato consente, partendo
  263. dal campionamento della posizione relativa della
  264. microsfera lungo un'asse spaziale, di determinare con precisione i
  265. valori di $\tau$, e quindi di $k$ per ogni posizione della
  266. trappola.
  267. Per fare questo si tiene conto che la densità spettrale
  268. delle fluttuazioni della posizione è data da \cite{Gittes1998}:
  269. \begin{equation}
  270. S_x(\nu) = \frac{k_B T}{\pi^2 \gamma (\nu^2 + \nu_c^2)}
  271. \end{equation}
  272. Dove $\nu_c = 1 / (2\pi\tau) = k / 2\pi\gamma$ é
  273. la frequenza di taglio, inversamente proporzionale al tempo
  274. di rilassamento.
  275. Da un semplice $fit$ della distribuzione spettrale del rumore
  276. della posizione è possibile quindi estrarre il valore di k.
  277. Il segnale misurabile in uscita dagli amplificatori differenziali dei QPD è un segnale in tensione,
  278. compreso tra \SIlist{-10;+10}{\V}, proporzionale alla
  279. posizione relativa della microsfera.
  280. Tramite il fit dei dati possiamo anche ottenere il fattore
  281. di conversione $\beta$ tale che $x_{rel}(V) = \beta V$.
  282. La distribuzione spettrale del rumore, riscalata rispetto alla
  283. variabile $V$ sarà quindi:
  284. \begin{equation}
  285. S_V(\nu) = \frac{1}{\beta^2}\frac{k_B T}{\pi^2 \gamma (\nu^2 + \nu_c^2)}
  286. \end{equation}
  287. Per la calibrazione si procede a preparare un campione con una
  288. cella di flusso contenente microsfere di polistirene (di diametro
  289. \SI{0.9}{\um}).
  290. Grazie a un'apposito programma sviluppato in ambiente LabVIEW
  291. (\texttt{Force-Clamp Calibration}) è possibile acquisire in maniera
  292. automatizzata le tracce del segnale prodotto dai QPD per una griglia
  293. di posizioni delle trappole. Il codice si occupa di memorizzare
  294. le tracce temporali, e per ogni posizione, spostare la trappola modificando
  295. la frequenza inviata agli AOM.
  296. Le tracce temporali vengono acquisite per una durata di \SI{10}{\second} per ogni
  297. posizione e a una frequenza di campionamento di \SI{200}{kS/s}.
  298. In seguito viene calcolata per ogni posizione di ciascuna
  299. trappola la distribuzione spettrale di rumore, utilizzando un algoritmo
  300. per la trasformata di Fourier veloce (\textit{Fast Fourier Transform}, FFT),
  301. con i parametri riportati in tabella \ref{tab:fft_par}.
  302. Il limite teorico imposto dal teorema di Shannon fissa a \SI{100}{\kHz} la
  303. massima frequenza rilevabile, tuttavia si sceglie di tagliare la coda
  304. finale dello spettro selezionando solo le frequenze compresa tra \SI{15}{\Hz}
  305. e \SI{50}{\kHz}. Mentre in questo intervallo la sensibilità del rilevatore al
  306. silicio usato nei QPD è relativamente costante, inizia a decrescere
  307. per frequenze maggiori, e la coda finale dello spettro delle
  308. fluttuazioni viene nascosta dal rumore elettronico e altri disturbi,
  309. come quelli generati ad esempio dagli alimentatori AC/DC.
  310. \begin{table}[ht]
  311. \centering
  312. \begin{tabular}{>{\bf}l l}
  313. \toprule
  314. Metodo di accumulo & Welch\cite{Welch1967} \\
  315. Segmenti accumulati & 32 \\
  316. Lunghezza segmenti & N/32 \\
  317. Finestra & Hann \\
  318. \bottomrule
  319. \end{tabular}
  320. \caption{Parametri FFT}
  321. \label{tab:fft_par}
  322. \end{table}
  323. Su ciascuno spettro viene eseguito un \textit{fit} per determinare
  324. i valori di $\beta$ e $k$ imponendo i valori noti riportati in tabella \ref{tab:fit}.
  325. \begin{table}[ht]
  326. \centering
  327. \begin{tabular}{l l l}
  328. \toprule
  329. Parametro & Simbolo & Valore \\
  330. \midrule
  331. Raggio della sfera & $R$ & \SI{450}{\nm} \\
  332. Temperatura & $T$ & \SI{295}{\K} \\
  333. Distanza sfera da superificie & $d$ & \SI{1}{\um} \\
  334. Viscosità & $\eta$ & \SI{1e-3}{\Pa\second} \\
  335. Coefficiente attrito idrodinamico & $\gamma$ & $6 \pi \eta R \left(1+\frac{9R}{16d}\right)$\\
  336. Frequenza minima & $\nu_{\textrm{min}}$ & \SI{15}{\Hz} \\
  337. Frequenza massima & $\nu_{\textrm{max}}$ & \SI{50}{\kHz} \\
  338. \bottomrule
  339. \end{tabular}
  340. \caption{Parametri $fit$ distribuzione spettrale}
  341. \label{tab:fit}
  342. \end{table}
  343. In figura \ref{fig:psd} si riporta una distribuzione spettrale tipica
  344. confrontata con la funzione teorica.
  345. \begin{figure}[htpb]
  346. \centering
  347. \includegraphics{images/PSD.pdf}
  348. \caption[scale=0.7]{Densità spettrale di rumore per la posizione di una trappola
  349. ottica.}
  350. \label{fig:psd}
  351. \end{figure}
  352. Dai valori di $k$ e $\beta$ estratti per tutte le posizioni di ciascuna
  353. trappola è possibile interpolare i valori per ogni possibile posizione
  354. intermedia. Per fare questo si usano delle funzioni polinomiali di ordine 3,
  355. come mostrato in figura \ref{fig:trap_ccurves}.
  356. \begin{figure}[htpb]
  357. \centering
  358. \includegraphics[scale=0.8]{images/calibration_curves.pdf}
  359. \caption{Andamento e interpolazione dei valori di $k$ e $\beta$.}
  360. \label{fig:trap_ccurves}
  361. \end{figure}
  362. \section{\textit{Force-clamp} tramite ciclo di retroazione}
  363. \label{sec:force-clamp}
  364. Un esperimento di \textit{force-clamp} consiste nello studiare la
  365. dinamica della formazione e della rottura del legame tra due
  366. molecole quando queste sono sottoposte a una determinata
  367. forza di trazione costante.
  368. Per poter applicare una tale forza tramite una microsfera catturata
  369. in una pinzetta ottica è stato implementato un sistema di retroazione
  370. tra la lettura della posizione relativa della microsfera nella
  371. trappola (dai QPD) e la posizione della trappola nel campione (tramite
  372. gli AOD).
  373. Scelto un valore per la forza (F) si può ricavare, conoscendo il
  374. valore di $k$, il corrispondente spostamento $\Delta x$ rispetto al
  375. centro della trappola.
  376. Per ottenere un valore forza applicata $F$ è necessario porsi
  377. nella condizione in cui la microsfera si è spostata di $-k/F$ dalla
  378. posizione di equilibrio.
  379. Se definiamo questa posizione come $x_{SET}$ e avviamo un ciclo di
  380. retroazione in cui
  381. comandandiamo agli AOD uno spostamento della trappola proporzionale
  382. alla differenza tra la posizione, rilevata dai QPD, della microsfera e
  383. $x_{SET}$, possono verificarsi i due seguenti casi:
  384. \begin{itemize}
  385. \item Nel caso in cui la microsfera sia libera in soluzione,
  386. ovvero non vi sia applicata alcuna forza esterna, essa tenderà
  387. a muoversi sempre verso il centro della trappola (la sua posizione
  388. di equilibrio). Il sistema di retroazione quindi, per mantenere
  389. la sfera in un punto di non equilibrio a distanza $\Delta x$ dalla
  390. posizione di riposo, dovrà continuare a muovere indefinitamente
  391. la posizione della trappola nella stessa direzione.
  392. \item Nel caso in cui la microsfera si leghi a delle molecole
  393. immobilizzate sulla superficie del campione, lo spostamento delle
  394. trappola si arresterà quando la forza esterna esercitata sulla
  395. microsfera, dovuta al legame, sarà tale da mantere $\Delta x$
  396. al valore fissato. In questo modo, alle due molecole legate,
  397. sarà applicata una tensione pari a quella selezionata.
  398. \end{itemize}
  399. \begin{figure}[ht]
  400. \centering
  401. \includegraphics{images/tension.pdf}
  402. \caption{\textit{Force-clamp} con una trappola.}
  403. \label{fig:tension}
  404. \end{figure}
  405. Osservando i tracciati temporali della posizione relativa della
  406. microsfera è possibile individuare la transizione tra questi due
  407. regimi, sia attraverso la velocità di variazione della posizione,
  408. che possiamo ottenere derivando numericamente il segnale, sia dalla
  409. variazione della deviazione standard delle fluttuazioni e del loro
  410. spettro di rumore. Tramite un'analisi statistica di questi dati
  411. per diversi valori di tensione selezionati è possibile caratterizzare
  412. quantitativamente la dipendenza dalle sollecitazioni esterne del
  413. legame analizzato.
  414. Per realizzare sperimentalmente questa misura occorre un sistema
  415. elettronico in grado di campionare il segnale prodotto dai QPD e
  416. modificare di conseguenza la frequenza del segnale di modulazione
  417. invato agli AOD. Per garantire un funzionamento stabile e la
  418. possibilità di rilevare eventi di durata confrontabile con il tempo di
  419. rilassamento diffusivo si utilizza una scheda elettronica
  420. programmabile dedicata, di tipo FPGA (\textit{Field Programmable Gate
  421. Array}), per controllare il ciclo di retroazione. In questo modo è
  422. possibile leggere i valori di posizione e aggiustare il segnale
  423. generato per gli AOD a una frequenza di \SI{200}{\kHz}, pari al doppio
  424. della larghezza di banda dei diodi usati nei QPD.
  425. Per permettere alla scheda FPGA (National Instruments) di dialogare
  426. con gli AOD e i QPD, così come per poter registrare sul computer i
  427. tracciati della posizione delle trappole, ho progettato i circuiti
  428. logici di funzionamento della scheda grazie all'ambiente di sviluppo
  429. LabVIEW FPGA (maggiori dettagli in appendice \ref{app:electronics}).
  430. La scheda FPGA così programmata comunica con il PC di controllo
  431. dell'esperimento dove è in esecuzione un apposito programma LabVIEW,
  432. sviluppato per consentire all'utente di modificare i parametri di
  433. funzionamento dell'esperimento e registrare le tracce temporali.
  434. In figura \ref{fig:forceclamp-feedback} è mostrato uno schema
  435. semplificato del ciclo di retroazione implementato per ciascuna
  436. trappola.
  437. \begin{figure}[ht]
  438. \centering
  439. \includegraphics{images/forceclamp_feedback.pdf}
  440. \caption{Caption}
  441. \label{fig:forceclamp-feedback}
  442. \end{figure}
  443. \section{Saggio a tre sfere}
  444. \label{sec:three-beads}
  445. Nelle giunzioni aderenti la trasmissione degli sforzi
  446. meccanici è spesso mediata da proteine filamentose (come la
  447. \textit{F-actina}).
  448. Per utilizzare questo tipo di proteine negli esperimenti di \textit{force-clamp}
  449. risulta particolarmente utile sviluppare un tipo di misura in cui,
  450. usando due trappole, è possibile mettere in tensione una proteina filamentosa,
  451. legando le sue estremità a due microsfere intrappolate.
  452. In questo modo possiamo fare interagire altre proteine. ad esempio immobilizzate
  453. sul vetrino coprioggeti, con l'actina messa in tensione e sospesa tra le due trappole.
  454. \begin{figure}[h]
  455. \centering
  456. \begin{subfigure}{0.45\linewidth}
  457. \centering
  458. \includegraphics[width=\linewidth]{images/three_beads_tension.pdf}
  459. \caption{}
  460. \label{fig:feedback-off}
  461. \end{subfigure}
  462. \\[\baselineskip]
  463. \begin{subfigure}{0.45\linewidth}
  464. \centering
  465. \includegraphics[width=\linewidth]{images/three_beads_fbON_unbound.pdf}
  466. \caption{}
  467. \label{fig:feedback-on-unbound}
  468. \end{subfigure}
  469. \hfill
  470. \begin{subfigure}[H]{0.45\linewidth}
  471. \centering
  472. \includegraphics[width=\linewidth]{images/three_beads_fbON_bound.pdf}
  473. \caption{}
  474. \label{fig:feedback-on-bound}
  475. \end{subfigure}
  476. \centering
  477. \caption{(a) Ciclo di retroazione disattivato, microsfere in posizione di equilibrio. La tensione del filamento può essere aggiustata modificando la distanza delle trappole. (b) Ciclo di retroazione
  478. attivato, nessuna molecola immobilizzata legata al filamento. Le
  479. trappole si muovono indefinitamente per ``inseguire'' la posizione
  480. corrispondente alla forza richiesta. (c) Il filamento si lega con
  481. una molecola immobilizzata sul vetrino, la microsfera raggiunge la
  482. posizione target e lo spostamento delle trappole si arresta. La forza
  483. applicata sul legame è pari a quella selezionata.}
  484. \label{fig:three_beads}
  485. \end{figure}
  486. In figura \ref{fig:three_beads} è rappresentato lo schema realizzato.
  487. Un doppio sistema di feedback, per ciascuna delle due trappole, muove
  488. i fasci di intrappolamento in modo da inseguire una posizione target
  489. per ciascuna microsfera. La forza viene applicata impostando, per la
  490. posizione target di una delle due microsfere, uno scostamento ($\delta
  491. x$) rispetto alla posizione di equilibrio tra costante elastica della
  492. trappola e tensione del filamento ($\Delta x$). Fino a che non viene
  493. stabilito un legame con una molecola immobilizzata sulla sfera
  494. piedistallo, il sistema continua a muovere in una direzione e
  495. simultaneamente le due trappole (verso destra nell’esempio mostrato in
  496. figura): la trappola di destra si muove, per compensare lo scostamento
  497. tra microsfera e posizione target, verso destra, e, immediatamente, la
  498. trappola di sinistra la segue per compensare l’eccesso di tensione sul
  499. filamento. Quando un legame viene finalmente stabilito con la proteina
  500. immobilizzata, sarà possibile per mantenere il sistema in equilibrio
  501. con le due microsfere nelle posizioni target: in queste condizione,
  502. sul legame tra le due proteine, viene applicata una forza
  503. proporzionale a $\delta x$ secondo la costante elastica della trappola. Per
  504. evitare che, quando non vi è alcun legame con proteine immobilizzate,
  505. le due trappole si spostino troppo rispetto alla loro posizione
  506. ottimale di funzionamento, si decide di limitare gli spostamenti
  507. massimi di esse in un intervallo di qualche \si{nm}, implementando un
  508. sistema di ``riflessione'': quando il fascio che sta tentando di
  509. applicare la forza selezionata $\Delta F$ si è spostato di un
  510. determinato cammino massimo, si scambia il ruolo delle due trappole e
  511. si applica un incremento di forza $-\Delta F$ sulla trappola che prima
  512. era passiva. In questo modo la tensione applicata sul sistema
  513. meccanico è uguale in modulo e opposta in verso. Inoltre il sistema
  514. può continuare ad acquisire dati autonomamente per lunghi intervalli
  515. di tempo senza la necessità di interventi manuali. In figura
  516. \ref{fig:timeser} è mostrato un esempio di tracce temporali per
  517. l'andamento della forza e della posizione trappole che è possibile
  518. ottenere per un esperimento di questo tipo. Si osservi l'andamento
  519. oscillatorio periodico della posizione, corrispondente allo stato
  520. ``non legato'' e l'improvvisa interruzione degli spostamenti in
  521. corrispondenza della formazione del legame.
  522. \begin{figure}
  523. \centering \includegraphics[width=0.7\linewidth]{fc_timetrace.pdf}
  524. \caption{Esempio di andamento temporale dei valori acquisiti di
  525. forza e posizione per un esperimento di spettroscopia force-clamp
  526. \cite{Capitanio2012}.}
  527. \label{fig:timeser}
  528. \end{figure}
  529. Uno schema di questo tipo è già stato utilizzato per lo studio
  530. dell'interazione di motori molecolari (come la \textit{miosina}) e
  531. filamenti di \textit{actina}.
  532. Nello studio delle giunzioni cellulari sono ipotizzabili numerosi
  533. esperimenti in cui uno o più fattori appartenenti ai complessi
  534. di giunzione siano fatti interagire con un filamento
  535. di actina teso tra le due trappole.
  536. \section{Fluorescenza di singola molecola}
  537. \label{sec:single_molecule_fluorescence}
  538. L'apparato sperimentale consente, in parallelo all'esecuzione di
  539. un esperimento di \textit{force-clamp}, di eccitare la fluorescenza
  540. del campione alle lunghezze d'onda di \SIlist{488;532;635}{\nm}.
  541. Anche il sistema di stabilizzazione attiva (che usa una
  542. transilluminazione a lunghezze d'onda $ >\SI{700}{\nm}$) può essere
  543. mantenuto attivo contemporaneamente, visto che le finestra
  544. di eccitazione ed emissione scelte sono a lunghezze d'onda inferiori.
  545. I filtri dicroici utilizzati (vedi tabella \ref{tab:optical_components})
  546. permettono di osservare radiazione di fluorescenza emessa nelle
  547. finestre riportate in tabella \ref{tab:fluo_lambda}:
  548. \begin{table}[ht]
  549. \centering
  550. \begin{tabular}{c c c}
  551. \toprule
  552. $\lambda$ eccitazione [\si{nm}] & $\lambda$ emissione [\si{nm}] & Potenza massima [\si{mW}] \\
  553. \midrule
  554. \num{488} & \numrange{502.5}{518.5} & \num{1.6}\\
  555. \num{532} & \numrange{550.0}{613.0} & \num{5.5}\\
  556. \num{635} & \numrange{663.0}{700.0} & \num{2.4} \\
  557. \bottomrule
  558. \end{tabular}
  559. \caption{Lunghezze d'onda di eccitazione ed emissione compatibili
  560. con l'apparato sperimentale, e potenza elettromagnetica totale
  561. immessa nel campo visivo. I valori di potenza massima riportata
  562. sono la potenza ottica misurata, attraverso un \textit{power
  563. meter}, all'uscita dell'obiettivo, quando le sorgenti laser
  564. sono impostate per erogare la massima potenza.}
  565. \label{tab:fluo_lambda}
  566. \end{table}
  567. Per ciascuna lunghezza d'onda è possibile ottenere una potenza totale
  568. nel campo visivo raccolto dal sensore EMCCD $\SI{1}{mW}$. Per
  569. confrontare le proprietà di fluorofori a diverse lunghezze d'onda
  570. scegliamo di impostare l'emissione di tutte le sorgenti laser in modo
  571. da avere sempre $\SI{1}{\mW}$ di potenza ottica sul campione. Per
  572. rendere uniforme la distribuzione di potenza nel campo visivo si
  573. tronca il fascio gaussiano prima di focalizzarlo sull'obiettivo a un
  574. raggio pari circa a 1/4 di quello iniziale (corrispondente alle
  575. dimensione del campo visivo sul campione). Infatti, il diametro
  576. misurato prima di focalizzare il fascio sull'obiettivo, di circa
  577. \SI{2}{\cm}, corrisponde a uno spot sul campione di diametro
  578. \SI{130}{\um}, circa quattro volte quello dell'area sul campione
  579. corrispondente alla superficie del sensore della telecamera. In
  580. questo modo le deviazione massima d'intensità tra i bordi e il centro
  581. della regione illuminata è ridotta al \SI{17}{\percent} (figura
  582. \ref{fig:flatfield}).
  583. \begin{figure}[ht]
  584. \centering
  585. \includegraphics{images/flatfield.png}
  586. \caption{Simulazione della distribuzione spaziale intensità \textit{laser} sul campione. Nell'inserto viene evidenziata la regione corrispondente al campo
  587. visivo della telecamera di fluorescenza.}
  588. \label{fig:flatfield}
  589. \end{figure}
  590. La densità di potenza che si riesce ad ottenere sul campione risulta intorno ai
  591. \SI{100}{\W\per\square\cm}.
  592. Per poter rilevare e localizzare singoli fluorofori è necessario ottenere
  593. un rapporto segnale/rumore molto elevato.
  594. I fotoni emessi da una singola molecola sono relativamente pochi e tutte
  595. le sorgenti di fotoni spuri che potrebbero raggiungere il rilevatore
  596. devono essere soppresse nel miglior modo possibile.
  597. I componenti ottici usati nell'apparato, le strutture di sostegno
  598. del microscopio, i vetrini usati per preparare i campione e i solventi usati
  599. possono essere deboli sorgenti di fluorescenza ed emettere fotoni
  600. alle stesse lunghezze d'onda raccolte.
  601. Per questo motivo è di particolare importanza isolare spazialmente i diversi
  602. cammini ottici nell'apparato, minimizzare la diffusione della luce riducendo
  603. il diametro dei fasci a quello necessario, prestando particolare cura al
  604. perfetto allineamento e centraggio di ogni componente e inserendo elementi
  605. assorbenti di separazione quando possibile.
  606. Lo spettro di emissione del laser utilizzato per il fascio di eccitazione
  607. deve essere il più pulito possibile, infatti eventuali componenti residue
  608. vicine alla finestra di emissione del fluoroforo possono portare a un aumento
  609. della luce retrodiffusa dal campione nel cammino di raccolta, aumentando
  610. significativamente il rumore all'aumentare della potenza del laser.
  611. Per questo motivo, visto che le sorgenti che abbiamo a disposizione
  612. sono economici laser a diodo con spettri di emissione non particolarmente
  613. \textit{puliti}, è necessario utilizzare dei filtri di \textit{clean-up}
  614. in modo da sopprimere con fattori di estinzione elevati ogni emissione spuria.
  615. Ugualmente importante è massimizzare l'efficienza di raccolta:
  616. il rilevatore utilizzato, un sensore EMCCD, può operare in regime di
  617. \textit{conteggio fotoni}, con una sensibilità molto elevata anche a
  618. brevi tempi di integrazione.
  619. Infatti, a differenza di quanto avviene nei comuni sensori CCD,
  620. gli elettroni accumulati in ciascuna cella del sensore attraversano una
  621. regione di moltiplicazione, dove, grazie a un'elevata differenza di
  622. potenziale, viene massimizzata la possibilità di generare nuovi elettroni
  623. per ionizzazione da impatto. Il segnale (sotto forma di cariche accumulate)
  624. che a questo punto viene trasferito allo stadio di integrazione e lettura
  625. del CCD, presenta già un elevato guadagno senza dover far ricorso a
  626. ulteriori stadi di amplificazione elettronica.
  627. Per operare correttamente il sensore EMCCD deve essere raffreddato
  628. a temperature $< \SI{-60}{\celsius}$, in modo da ridurre il più
  629. possibile gli elettroni prodotti termicamente (corrente di buio),
  630. che possono subire lo stesso processo di moltiplicazione dei
  631. fotoelettroni.
  632. Oltre al rumore dovuto all'apparato sperimentale è importante tenere conto
  633. del fatto che, quando si usa il classico schema di illuminazione a campo
  634. largo, il fascio di eccitazione attraversa per intero il campione.
  635. Quindi la presenza di fluorofori liberi in soluzione provoca un aumento
  636. consistente del rumore dovuto alla fluorescenza fuori fuoco.
  637. I fluorofori che si intende utilizzare per lo studio della
  638. meccanotrasduzione appartengono alla famiglia Alexa Fluor (Molecular Probes).
  639. Si tratta di molecole organiche sintetica particolarmente fotostabili
  640. e con resa quantica elevata.
  641. In commercio si trovano versioni funzionalizzate legate a svariate molecole
  642. e kit di coniugazione che consentono di legare semplicemente e rapidamente
  643. i fluorofori a proteine e peptidi.
  644. Tenendo conto delle caratteristiche dell'apparato è possibile utilizzare
  645. i fluorofori Alexa Fluor 647, 532 e 488. In figura \ref{fig:alexa_spectra}
  646. si riportano gli spettri di eccitazione e emissione.
  647. \begin{figure}[ht]
  648. \centering
  649. \includegraphics[width=0.8\linewidth]{images/alexa.png}
  650. \caption{Spettri di eccitazione (linea tratteggiata) ed emissione
  651. (linea continua) dei fluorofori Alexa Fluor
  652. 488, 532 e 635.}
  653. \label{fig:alexa_spectra}
  654. \end{figure}
  655. Per testare la capacità di visualizzare singoli fluorofori e stimare le
  656. prestazioni del sistema utilizziamo dei campioni in cui una distribuzione
  657. di Alexa 647 è immobilizzata sul vetrino coprioggetti (vedi appendice
  658. \ref{app:protocols}, protocollo \ref{proto:alexa}).
  659. \begin{figure}[ht]
  660. \centering
  661. \includegraphics[scale=0.8]{images/alexa647.png}
  662. \caption{Cella di flusso con fluorofori immobilizzati sul vetrino coprioggetti (a sinistra) e campione di controllo senza fluorofori (a destra). Istogramma delle due
  663. immagini (in basso).}
  664. \label{fig:alexa647}
  665. \end{figure}
  666. Il contrasto medio tra i fluorofori è lo sfondo (media dell'intensità in una regione
  667. lontana dai fluorofori) è maggiore di 10.
  668. \begin{figure}
  669. \centering
  670. \includegraphics[scale=0.8]{images/snr.png}
  671. \caption{Profilo di intensità della PSF di un fluoroforo.}
  672. \label{fig:snr}
  673. \end{figure}
  674. \section{TIRF e illuminazione a modi di galleria}
  675. \label{sec:gallery_mode}
  676. Quando sono presenti fluorofori liberi in soluzione, per esempio nel caso
  677. in cui si voglia studiare l'interazione delle due proteine sottoposte a
  678. \textit{force-clamp} con una terza piccola molecola marcata,
  679. il rapporto segnale-rumore si riduce drasticamente.
  680. La fluorescenza fuori fuoco infatti farà aumentare il valore medio del rumore
  681. di fondo, arrivando a nascondere il segnale dei singoli fluorofori sul
  682. piano focale.
  683. Come è stato introdotto in \ref{sec:fluo} è possibile migliorare il rapporto
  684. segnale/rumore in questi casi sfruttando schemi di illuminazione che riducono
  685. il volume di campione eccitato.
  686. Nel nostro caso l'interesse sta non solo nel ridurre il volume di eccitazione,
  687. ma concentrarlo in una regione di poche centinaia di \si{\nm} intorno al sito
  688. di interazione tra le due proteine sottoposte a \textit{force-clamp}.
  689. Grazie all'utilizzo dello specchio mobile sul percorso di eccitazione della
  690. fluorescenza, e di un obiettivo TIRF, è possibile esplorare tramite questo
  691. apparato due possibili scenari sperimentali per rilevare la fluorescenza
  692. nei dintorni della regione del legame.
  693. Il primo schema (figura \ref{fig:gallery_tirf}) fa leva sull'accoppiamento evanescente
  694. tra l'onda elettromagnetica presente sulla superficie del vetrino (illuminazione
  695. TIRF) e i modi di galleria della microsfera immobilizzata (che si comporta come
  696. risuonatore ottico). In questo modo un fluoroforo che si viene a trovare molto
  697. vicino alla microsfera potrà acquisire, sempre per accoppiamento evanescente, parte
  698. della radiazione luminosa immagazzinata nei modi di galleria.
  699. Il secondo schema (figura \ref{fig:gallery_hilo}) sfrutta invece uno schema di
  700. illuminazione HILO nel quale la microsfera è raggiunta lateralmente dal fascio di
  701. eccitazione.
  702. In questo modo è possibile eccitare direttamente i fluorofori (senza dipendere
  703. dall'accoppiamento evanescente) quando questi non vengono messi in ombra dalla
  704. microsfera. Quando si trovano sul lato opposto una loro eccitazione potrebbe comunque
  705. essere resa possibile dalla luce diffusa attraverso la microsfera.
  706. Un possibile problema di questo schema riguarda la geometria imposta dalla disposizione
  707. degli elementi ottici: il fascio inclinato infatti raggiunge il campione dallo stesso
  708. lato delle trappole. In queste condizioni, specialmente all'aumentare della potenza del
  709. laser usato per la fluorescenza, potrebbe diventare significativo l'effetto della pressione
  710. di radiazione del fascio obliquo sulle microsfere intrappolate, variando la dinamica delle
  711. loro fluttuazioni e quindi influenzando la corretta esecuzione del \textit{force-clamp}.
  712. Tuttavia, lo schema HILO ha il grande vantaggio di non richiedere una
  713. tunabilità fine del laser di eccitazione necessaria per eccitare i
  714. modi risonanti della microsfera. Abbiamo infatti testato questa
  715. modalità acquisendo immagini di singoli fluorofori, legati alla
  716. superficie di microsfere immobilizzate sulla superficie di un vetrino
  717. coprioggetti e confrontando le immagini ottenute in schema HILO per
  718. diverse posizioni del piano focale. Il risultato di questo confronto è
  719. mostrato in figura \ref{fig:bfvshilo}. I singoli fluorofori
  720. visualizzati nella terza immagine sono quelli che si trovano sulla
  721. sommità delle microsfere e vengono eccitati dal fascio inclinato
  722. (HILO), a una distanza di \SI{1.4}{\um} dal piano selezionato
  723. nell'immagine precedente (b). La regione mostrata, di grandezza
  724. \SI{40}{\um} x \SI{40}{\um} è stata ottenuta con una potenza ottica
  725. sul campione di 1mW e un tempo di integrazione di 30ms. Per acquisire
  726. regioni di interesse molto più piccole, come quella nell’immediata
  727. prossimità di due proteine interagenti in un esperimento di
  728. force-clamp, è ragionevole prevedere la possibilità di raggiungere la
  729. sensibilità di singolo fluoroforo con tempi di integrazione
  730. dell’ordine del millisecondo.
  731. \begin{figure}[ht]
  732. \centering
  733. \begin{subfigure}{0.45\linewidth}
  734. \centering
  735. \includegraphics[width=\linewidth]{images/gallery_tirf.pdf}
  736. \caption{}
  737. \label{fig:gallery_tirf}
  738. \end{subfigure}
  739. \hfill
  740. \begin{subfigure}[H]{0.45\linewidth}
  741. \centering
  742. \includegraphics[width=\linewidth]{images/gallery_hilo.pdf}
  743. \caption{}
  744. \label{fig:gallery_hilo}
  745. \end{subfigure}
  746. \centering
  747. \caption{Ipotesi di esperimenti con fluorescenza di singola molecola combinata a \textit{force-clamp} e schema di illuminazione
  748. TIRF (a) e HILO (b).}
  749. \label{fig:three_beads}
  750. \end{figure}
  751. \begin{figure}[ht]
  752. \centering
  753. \includegraphics[width=0.8\linewidth]{wfvshilo.png}
  754. \caption{Fluoroforo Alexa Fluor 647 su microsfere di silice, immobilizzate. Immagini in bright-field (a), HILO al livello della superficie interna del campione (b) e HILO a \SI{1.4}{\um} di profondità (c).}
  755. \label{fig:bfvshilo}
  756. \end{figure}