Tesi magistrale
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974 lines
42 KiB

  1. %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%%
  2. \chapter{Introduzione}
  3. Gli stimoli meccanici rivestono nell'ambito dei sistemi biologici un
  4. ruolo importante nel determinare il corretto funzionamento di cellule,
  5. tessuti e organismi complessi.
  6. Mentre tradizionalmente la biologia si è occupata di studiare come
  7. processi cellulari e intercellulari fossero regolati dalle reazioni
  8. biochimiche e dalla genetica, il ruolo degli stimoli meccanici è stato a
  9. lungo ritenuto marginale nella descrizione di questi processi.
  10. Lo sviluppo di tecniche sempre più avanzate e precise per la
  11. visualizzazione e la manipolazione di molecole all'interno di campioni
  12. biologici ha iniziato a mutare questa concezione: oggi possiamo
  13. indagare nel dettaglio il funzionamento dei motori molecolari
  14. all'interno delle nostre cellule o misurare come variazioni nella
  15. tensione applicata a un polimero possano indurre una riorganizzazione
  16. strutturale nello stesso e cambiarne le proprietà biochimiche.
  17. Per molti processi biologici il ruolo della forza è fondamentale,
  18. ad esempio nei complessi proteici che legano tra di loro le cellule
  19. in un tessuto, le \emph{giunzioni cellulari}.
  20. Queste si comportano come complesse macchine in grado di elaborare
  21. stimoli di tipo biochimico e meccanico, comunicando e interferendo
  22. con le funzioni del resto della cellula.
  23. Esistono diversi tipi di giunzioni cellulari, responsabili di
  24. specifiche funzioni e caratterizzate dalla reciproca interazione di
  25. diversi tipi di proteine. La dinamica della loro interazione viene
  26. modificata e modulata dalle sollecitazioni meccaniche esterne,
  27. permettendo alle giunzioni di comportarsi come \emph{trasduttori}
  28. di segnali meccanici.
  29. Diversi metodi sono stati proposti e realizzati sperimentalmente
  30. per osservare l'attività di meccano-trasduzione nei sistemi
  31. biologici \cite{Muhamed2017,Arbore2019}, sfruttando tecniche sia \textit{in vivo} che
  32. \textit{in vitro}, osservando sia gli effetti macroscopici che
  33. le interazioni tra singole molecole.
  34. Nonostante ciò, per quanto riguarda le giunzioni cellulari, siamo
  35. ancora lontani da una descrizione soddisfacente, sia da un punto
  36. di vista qualitativo che quantitativo, dei meccanismi e delle
  37. interazioni coinvolte.
  38. Raggiungere una migliore comprensione riguardo al ruolo e al
  39. funzionamento della meccano-trasduzione nelle giunzioni cellulari
  40. rappresenta un terreno fertile e un forte stimolo per la ricerca
  41. di base interdisciplinare, spingendo scienziati con formazioni diverse
  42. ad unire le loro competenze e sviluppare tecniche complementari, in
  43. modo da acquisire una visione sempre più globale su fenomeni
  44. estremamente complessi, che coinvolgono simultaneamente processi
  45. meccanici, termodinamici e biochimici.
  46. Lo scopo di questo lavoro di tesi è, sviluppare, in gran parte
  47. \textit{ex-novo}, un apparato sperimentale per lo studio della
  48. meccano-trasduzione in contesti complessi come quello delle giunzioni
  49. cellulari, basato sulla manipolazione ottica di due proteine
  50. interagenti e il \textit{tracking} simultaneo, tramite microscopia di
  51. fluorescenza, di altre singole biomolecole nei pressi del sito di
  52. interazione.
  53. La manipolazione tramite pinzette ottiche rappresenta infatti una
  54. strada molto promettente per lo studio, anche quantitativo, di
  55. effetti meccano-biologici, grazie alla possibilità di ottenere una
  56. precisione di posizionamento nanometrica e di applicare alle molecole
  57. un ampio intervallo di forze nell'ordine dei piconewton e dei
  58. femtonewton.
  59. Le pinzette ottiche permettono di sondare il comportamento di
  60. complessi proteici sottoponendo due molecole interagenti a stress
  61. meccanici controllati e andando a osservare come la dinamica delle
  62. interazioni dipenda dalle forze esterne.
  63. Questo tipo di esperimenti si riconduce alle
  64. \emph{spettroscopie di forza},
  65. che in generale vengono realizzate utilizzando diverse tecniche, come
  66. la microscopia a forza atomica, le onde acustiche o le pinzette
  67. ottiche.
  68. I brevissimi tempi di risposta ottenibili utilizzando queste ultime,
  69. inferiori al millisecondo, hanno fatto si che le pinzette ottiche
  70. fossero applicate con successo allo studio di sistemi interagenti con
  71. affinità molto deboli o rapide modifiche conformazionali, come i
  72. motori molecolari \cite{Capitanio2012}.
  73. L'apparato sperimentale descritto in questo lavoro consiste
  74. sostanzialmente in una ricostruzione di quello utilizzato in
  75. \cite{Capitanio2012}
  76. per lo studio dei motori molecolari per quanto riguarda la componente
  77. di spettroscopia di forza, integrato con un sistema di microscopia di
  78. fluorescenza che consenta di osservare simultaneamente la dinamica di
  79. singole molecole interagenti con le proteine intrappolate.
  80. Infatti, fino a ora il principale limite di questi esperimenti è
  81. stato quello di produrre informazioni dinamiche
  82. esclusivamente sui due componenti interagenti selezionati per la
  83. spettroscopia di forza, trascurando ogni altra possibile interazione.
  84. Se in diversi scenari questo è più che sufficiente, in alcuni
  85. sistemi biologici, questo approccio mostra evidenti limiti nello
  86. studio di una complessa rete di interazioni, come quella delle
  87. giunzioni cellulari.
  88. Un apparato con queste caratteristiche dovrebbe consentire,
  89. durante un esperimento di spettroscopia di forza, di registrare
  90. simultaneamente sia la risposta meccanica delle due proteine
  91. immobilizzate, sia l'eventuale interazione con altri fattori
  92. opportunamente marcati presenti nella soluzione usata per
  93. l'esperimento.
  94. L'ostacolo principale al raggiungimento di questo risultato è dato
  95. dalla difficoltà di visualizzare, tramite microscopia ottica,
  96. l'attività di una singola molecola fluorescente sopra un fondo di
  97. fluorofori liberi in soluzione.
  98. Una soluzione tipicamente adottata prevede l'uso di schemi di
  99. illuminazione come la riflessione interna totale
  100. (TIRF, \textit{Total Internal Reflection Fluorescence microscopy})
  101. o i fogli di luce inclinati
  102. (HILO, \textit{Highly Inclined and Laminated Optical sheet
  103. microscopy}),
  104. in modo da ridurre il volume di campione eccitato e quindi l'emissione
  105. di fluorescenza di fondo.
  106. Questi schemi di illuminazione però richiedono requisiti molto
  107. stringenti.
  108. Ad esempio per poter utilizzare la TIRF, come approfondito in sezione
  109. \ref{sec:fluo} è necessario che il volume osservato sia nelle
  110. immediate vicinanze (poche centinaia di nanometri) della superficie del vetrino
  111. coprioggetti usato per la preparazione del campione,
  112. condizione che è impossibile realizzare negli esperimenti di
  113. spettroscopia di forza, dove le proteine vengono funzionalizzate su
  114. sfere di silice di dimensioni micrometriche.
  115. In questo caso infatti il volume di campione
  116. dove si trovano le proteine interagenti è posto a una quota significativa
  117. rispetto alla zona illuminata nelle vicinanze del vetrino coprioggetti.
  118. Scopo dell'apparato sperimentale sarà anche studiare la possibilità di
  119. superare questo limite usando la sfera dielettrica come risuonatore
  120. o focheggiatore ottico, e quindi come strumento in grado di trasferire la radiazione
  121. di eccitazione dall'immediata prossimità del vetrino coprioggetti ai
  122. fluorofori presenti in prossimità del sito di interazione.
  123. In questo modo il segnale proveniente da molecole fuori fuoco,
  124. lontane dalla microsfera, sarebbe efficacemente soppresso.
  125. Nelle prossime sezioni è possibile trovare una trattazione più
  126. approfondita degli argomenti introdotti, in particolare nella sezione
  127. \ref{sec:giunzioni} vengono introdotte due importanti tipologie di
  128. giunzioni cellulari particolarmente interessanti per studio con un
  129. sistema combinato come quello qui descritto.\\
  130. Nella sezione \ref{sec:ot} vengono trattate in maniera più
  131. approfondita le pinzette ottiche e la loro applicazione agli
  132. esperimenti di spettroscopia di forza.\\
  133. Nella sezione \ref{sec:fluo} vengono introdotti i principali limiti
  134. della microscopia di fluorescenza e le soluzioni proposte per il loro
  135. superamento.
  136. Nel capitolo \ref{cap:setup} vengono descritte nel dettaglio le
  137. caratteristiche e le proprietà specifiche dell'apparato sperimentale
  138. realizzato.
  139. Nel capitolo \ref{cap:methods} vengono descritti i metodi utilizzati
  140. per validare il funzionamento dell'apparato sperimentale,
  141. quantificarne i parametri di funzionamento e realizzare misure su
  142. campioni biologici.
  143. Nel capitolo \ref{cap:results} sono analizzati i dati prodotti durante
  144. le operazioni di validazione dell'apparato sperimentale e delle
  145. procedure di misura per valutare le prestazioni ottenibili e la loro
  146. adeguatezza agli esperimenti ipotizzati.
  147. % Introduction on the importance of mechanotransduction
  148. %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%%
  149. % between
  150. \section{Giunzioni cellulari}
  151. \label{sec:giunzioni}
  152. Le giunzioni cellulari svolgono un ruolo fondamentale per l'esistenza
  153. stessa degli organismi multicellulari.
  154. Esse sono infatti responsabili della capacità delle cellule di
  155. connettersi l'una con l'altra e di organizzarsi per formare tessuti e
  156. organi con funzioni specifiche.
  157. Le funzioni delle giunzioni cellulari vanno ben oltre quelle di una
  158. passiva struttura di raccordo: esse sono responsabili, ad esempio,
  159. di veicolare informazioni e sostanze tra una cellula e l'altra,
  160. guidare la loro proliferazione o migrazione, mantenere la stabilità
  161. dei tessuti o avviarne la riparazione quando necessario.
  162. \begin{figure}[ht]
  163. \centering
  164. \includegraphics[width=0.5\linewidth]{images/adjunc.pdf}
  165. \caption{Sequenza di cellule connesse da \emph{giunzioni aderenti}
  166. (sopra) e dettaglio di una giunzione aderente, con indicazione
  167. delle principali proteine coinvolte (sotto)}
  168. \label{fig:ad_jun}
  169. \end{figure}
  170. Le giunzioni cellulari possono connettersi direttamente a strutture
  171. interne della cellula (come il citoscheletro) e si formano
  172. dall'auto-assemblamento di un grande numero di proteine differenti.
  173. Per loro natura attraversano la membrana cellulare andando a formare
  174. legami con strutture analoghe presenti in cellule adiacenti o con
  175. strutture intermedie di supporto, come la matrice extra-cellulare.
  176. Esistono diversi tipi di giunzioni che svolgono funzioni specifiche.
  177. Un tipo di giunzione molto comune nei tessuti epiteliali e
  178. endoteliali è la \emph{giunzione aderente}, rappresentata in modo
  179. schematico in figura \ref{fig:ad_jun}.
  180. Nelle giunzioni aderenti la proteina che direttamente ancora il
  181. complesso alla membrana plasmatica è la \emph{caderina}.
  182. Questa è una proteina trans-membrana costituita da un dominio di coda
  183. citoplasmatico e un dominio di testa esterno alla membrana cellulare.
  184. Il dominio extra-membrana è in grado di dimerizzare con domini
  185. analoghi presenti in cellule adiacenti, formando la giunzione.
  186. Il dominio intra-membrana permette di stabilire un collegamento
  187. diretto tra la giunzione cellulare e il citoscheletro di actina,
  188. grazie al legame con una classe di proteine, le \emph{catenine},
  189. in grado di legarsi sia con la coda della caderina che con i filamenti
  190. di actina del citoscheletro.
  191. Oltre a questa connessione diretta esistono altre proteine che
  192. mantengono una connessione indiretta, legando ad esempio le catenine
  193. con il citoscheletro. È stato scoperto
  194. \cite{Goldmann2016,Dumbauld2014} che le proteine
  195. \emph{vinculina} e \emph{$\alpha$-actinina} svolgono questa attività.
  196. Sebbene la funzione di questi collegamenti indiretti non sia stata
  197. ancora del tutto compresa, è stato dimostrato che la presenza
  198. delle proteine responsabili di tali collegamenti è fondamentale per il corretto sviluppo
  199. dei tessuti.
  200. Esperimenti su colture cellulari in cui il gene che codifica l'espressione
  201. della vinculina è stato rimosso suggeriscono come, oltre ad una
  202. riduzione generale dell'adesione tra cellule, si perdano alcune funzioni
  203. di regolazione
  204. e modulazione dell'attività delle giunzioni.
  205. La vinculina, quindi, così come altre proteine secondarie, potrebbe
  206. avere un ruolo nel modulare i meccanismi di adesione e svolgere un
  207. ruolo nei processi di meccano-trasduzione.
  208. La possibilità di realizzare esperimenti di spettroscopia di forza in
  209. cui è possibile tenere traccia dell'attività di una o più proteine
  210. secondarie apre la strada verso una maggiore comprensione del loro
  211. ruolo.
  212. Lo stato attuale delle conoscenze sulla rete di interazioni che
  213. governa e regola il funzionamento delle giunzioni aderenti è riportato
  214. schematicamente in appendice \ref{app:junctions}, sotto forma di
  215. diagramma delle vie di segnalazione.
  216. \begin{figure}[ht]
  217. \centering
  218. \includegraphics{images/aj.pdf}
  219. \caption{Ruolo di \textbf{caderina} e catenine nelle
  220. \textit{giunzioni aderenti}}
  221. \label{fig:aj}
  222. \end{figure}
  223. \vspace{1em}
  224. Un'altra classe di giunzioni cellulari è rappresentata dalle
  225. giunzioni occludenti (\textit{tight junction}), la cui caratteristica
  226. principale è quella di sigillare lo spazio intercellulare, rendendolo
  227. impermeabile e impedendo a molecole e ioni di attraversare un
  228. tessuto.
  229. L'organizzazione spaziale delle giunzioni occludenti consente inoltre
  230. la creazione di canali selettivamente permeabili per il trasporto
  231. di specifiche molecole, tuttavia ancora non sono chiari i meccanismi
  232. che modulano e regolano il loro funzionamento.
  233. Come nel caso delle giunzioni aderenti questo emerge dall'interazione
  234. tra un certo numero di proteine interagenti.
  235. \begin{figure}[ht]
  236. \centering
  237. \includegraphics{images/tj.pdf}
  238. \caption{Ruolo di \textbf{ZO-1} nelle \emph{giunzioni occludenti}}
  239. \label{fig:tj}
  240. \end{figure}
  241. Diverse proteine attraversano la membrana e dimerizzano con le loro
  242. omologhe appartenenti alla cellula adiacente, tra le quali
  243. \emph{claudina}, \emph{occludina} e diverse proteine appartenenti
  244. alla classe delle \textit{junctional adhesion molecules} (JAM).
  245. Queste proteine di membrana si legano alla proteina \textit{Zona
  246. occludens 1}, ZO-1 che, come mostrato da recenti studi
  247. \cite{Vasileva2020},
  248. potrebbe modulare la formazione delle giunzioni e occuparsi della
  249. trasduzione di segnali meccanici.
  250. Inoltre vi sono evidenze sul ruolo di una terza proteina, la
  251. \textit{cingulina}, nel modulare l'interazione di ZO-1 con il
  252. citoscheletro di actina. Un'ipotesi è che il legame cingulina-ZO-1
  253. possa indurre delle modifiche conformazionali in ZO-1 tali da
  254. consentire un legame diretto con i filamenti di actina.
  255. Anche in questo caso, per comprendere il ruolo della cingulina nella
  256. trasduzione dei segnali meccanici, sembra promettente utilizzare una
  257. tecnica che consenta, durante l'osservazione dell'interazione di due
  258. proteine sottoposte a stress meccanici, di osservare l'eventuale
  259. attaccamento al complesso di una terza proteina. Ad esempio sarebbe
  260. possibile ipotizzare un esperimento in cui allo studio dell'effetto
  261. delle sollecitazioni meccaniche sul legame actina-ZO-1 viene aggiunta
  262. l'osservazione dell'attività della cingulina attraverso microscopia
  263. di fluorescenza.
  264. \section{Manipolazione ottica di molecole biologiche}
  265. \label{sec:ot}
  266. Le pinzette ottiche (o \textit{optical tweezer}, OT) sono strumenti
  267. che sfruttano la \emph{forza di radiazione} esercitata da un fascio
  268. laser gaussiano altamente focalizzato su materiali dielettrici, in
  269. modo da intrappolare e manipolare oggetti microscopici con una
  270. precisione sub-nanometrica.
  271. Questa tecnologia sfrutta il gradiente d'intensità di un fascio
  272. gaussiano focalizzato interagente con particelle dielettriche immerse
  273. in un fluido. L'interazione delle particelle con la radiazione fa si
  274. che queste risentano di una forza di richiamo verso una posizione
  275. di equilibrio in prossimità del fuoco del fascio.
  276. Fin dalla loro ideazione vennero subito messe in luce le potenzialità
  277. di questa tecnica quando applicata alla manipolazione di campioni
  278. biologici.
  279. Arthur Ashkin fu, nel 1986, il primo a realizzare sperimentalmente
  280. delle pinzette ottiche, riuscendo a intrappolare microsfere sintetiche
  281. e batteri\cite{Ashkin:86}. Per questo risultato gli fu conferito il
  282. premio Nobel nel 2018, \emph{``per le pinzette ottiche e le loro
  283. applicazioni ai sistemi biologici''}.
  284. Grazie alle pinzette ottiche è possibile intrappolare solidi
  285. dielettrici di diversa dimensione e natura.
  286. Per ottenere la capacità di manipolare individualmente singole
  287. molecole, come le proteine in una soluzione acquosa a temperatura ambiente,
  288. non è possibile procedere ad un intrappolamento diretto.
  289. Si rende necessario quindi sviluppare protocolli per funzionalizzare
  290. la superficie di sfere dielettriche e legarci le molecole che
  291. intendiamo studiare.
  292. Tipicamente esperimenti di questo tipo vengono realizzati utilizzando
  293. sfere dielettriche di dimensioni micrometriche funzionalizzate legando
  294. covalentemente le proteine o le molecole biologiche di interesse.
  295. In alternativa, vengono legate sulla superficie delle microsfere molecole di
  296. \textit{streptavidina}.
  297. In questo modo è possibile successivamente ottenere il legame delle
  298. microsfere col polimero biologico o la proteina d'interesse, purché essi siano stati
  299. preventivamente biotilinati.
  300. Si sfrutta in questo modo il legame streptavidina-biotina, estremamente stabile nei tempi
  301. tipici di un esperimento di singola molecola (vedi figura \ref{fig:biotin-streptavidin}).
  302. \begin{figure}[ht]
  303. \centering
  304. \includegraphics[width=0.5\linewidth]{images/biotin-streptavidin.pdf}
  305. \caption{Manipolazione di una proteina bersaglio utilizzando una
  306. microsfera intrappolata e il legame biotina-streptavidina.}
  307. \label{fig:biotin-streptavidin}
  308. \end{figure}
  309. Per descrivere quantitativamente il funzionamento delle pinzette
  310. ottiche consideriamo in generale l'effetto dell'interazione tra
  311. una microsfera dielettrica, immersa in una soluzione liquida, e
  312. la radiazione elettromagnetica prodotta da un fascio laser gaussiano
  313. focalizzato.
  314. In generale la forza a cui è soggetta la microsfera interagente
  315. col campo elettromagnetico può essere scomposta in due contributi:
  316. \begin{itemize}
  317. \item La \textbf{forza di \textit{scattering}} o pressione di
  318. radiazione, sempre orientata nella direzione di propagazione
  319. della radiazione e proporzionale alla sua intesità.
  320. \item La \textbf{forza di gradiente}, proporzionale
  321. al gradiente d'intensità della radiazione elettromagnetica.
  322. \end{itemize}
  323. L'origine di questi due contributi e la dipendenza dalle caratteristiche
  324. della microsfera e del liquido utilizzati possono essere derivate
  325. analiticamente dalle equazioni di Maxwell nei limiti del regime
  326. di Rayleigh, ovvero quando le dimensioni della sfera sono molto
  327. inferiori alla lunghezza d'onda della radiazione utilizzata.
  328. In questo limite possiamo considerare il materiale interagente con la
  329. radiazione come un dipolo elettrico puntiforme, associato ad una
  330. polarizzabilità $\alpha$. Il vettore di polarizzazione nel dipolo
  331. puntiforme sarà quindi $\vec{p} = \alpha \vec{E}$, dove il vettore $\vec{E}$
  332. è il campo elettrico che induce la polarizzazione.
  333. La pressione di radiazione sarà quindi proporzionale all'impulso
  334. dei fotoni retrodiffusi per \textit{scattering} Rayleigh.
  335. Nel caso di una microsfera di raggio $a$, indice di rifrazione $n$,
  336. investita da un'onda piana di intensità $I_0$, vettore d'onda $\vec{k}$
  337. e immersa in un fluido con indice di rifrazione $m$, la forza di
  338. \textit{scattering} può essere espressa\cite{HARADA1996529} come:
  339. \begin{equation}
  340. \vec{F}_r = \hat{k} I_0 \frac{8 \pi n k^4 a^6}{3c}
  341. \left(
  342. \frac{(n/m)^2 - 1}{(n/m)^2 + 2}
  343. \right)^2
  344. \end{equation}
  345. Dove $c$ è la velocità della luce nel vuoto.
  346. L'espressione della forza di gradiente può essere ottenuta
  347. dall'interazione lorentziana tra la radiazione e il dipolo puntiforme.
  348. Infatti, se $\vec{p}$ è il vettore di polarizzazione e $\vec{E}, \vec{B}$ sono
  349. i vettori dei campi elettrici e magnetici della radiazione, abbiamo:
  350. $$ \vec{F}_g =
  351. \left(
  352. \vec{p} \cdot \vec{\nabla}
  353. \right)
  354. \vec{E}
  355. + \frac{d\vec{p}}{dt} \times \vec{B}
  356. $$
  357. Ovvero, una volta sostituito il vettore di polarizzazione:
  358. $$ \vec{F}_g =
  359. \alpha
  360. \left[
  361. \left( \vec{E} \cdot \vec{\nabla} \right) \vec{E}
  362. + \frac{d\vec{E}}{dt} \times \vec{B}
  363. \right]
  364. $$
  365. E infine, tenendo conto delle \emph{equazioni di Maxwell} e
  366. dell'algebra dei vettori, e mediando su un periodo di oscillazione, otteniamo:
  367. \begin{equation}
  368. \label{dipole_force}
  369. \vec{F_g} =
  370. \alpha
  371. \left[
  372. \frac{1}{2}\nabla E^2
  373. \right]
  374. \end{equation}
  375. Il termine dipendente dal campo magnetico è la derivata di una quantità che cambia
  376. rapidamente (\SI{> 1e14}{\Hz}), che
  377. può tranquillamente essere considerata nulla se confrontata con in
  378. tempi tipici dell'evoluzione meccanica del sistema, e può quindi essere trascurato.
  379. Sostituendo ad
  380. $\alpha$ l'espressione per la polarizzabilità della microsfera
  381. otteniamo:
  382. \begin{equation}
  383. \vec{F}_g =
  384. \frac{2\pi a^3}{c}
  385. \left(
  386. \frac{(n/m)^2 - 1}{(n/m)^2 + 2}
  387. \right)
  388. \nabla I_0(\vec{r})
  389. \end{equation}
  390. Il risultato netto dei due contributi è che la microsfera tenderà ad
  391. occupare una posizione di equilibrio nel punto in cui i due contributi
  392. si cancellano e, se perturbata, risentirà di una forza di richiamo
  393. verso la posizione di equilibrio.
  394. Un risultato qualitativamente identico è dimostrabile nel limite
  395. dell'ottica geometrica, quando la particella è al contrario di
  396. dimensioni molto maggiori alla lunghezza d'onda intermedia.
  397. Il caso intermedio richiede l'uso della più complessa teoria
  398. Lorenz-Mie e il ricorso a soluzioni numeriche, ma l'idea
  399. qualitativa alla base dell'intrappolamento resta valida.
  400. Nel caso generale i requisiti per un intrappolamento efficace sono
  401. quelli di avere una forza di gradiente maggiore di quella di
  402. scattering e una energia cinetica delle particelle intrappolate
  403. sufficientemente bassa (quindi un fluido sufficientemente viscoso).
  404. Per le nostre applicazioni è sufficiente considerare, su un piano
  405. perpendicolare alla direzione di propagazione del fascio, una forza di
  406. richiamo del tipo:
  407. \begin{equation}
  408. \vec{F}_\perp = -k_{\perp}(\vec{x}_{\perp}-\vec{x}_{\perp,eq})
  409. \end{equation}
  410. Dove $\vec{x}_{\perp}$ è la proiezione della posizione della particella
  411. intrappolata sul piano considerato, $\vec{x}_{\perp.eq}$ è la posizione di equilibrio,
  412. corrispondente al centro della fascio in assenza di forze esterne, e $k_{\perp}$ è
  413. la costante elastica relativa alla forza di richiamo sul piano perpendicolare.
  414. Lungo la direzione assiale la particella sarà analogamente confinata ma con un costante
  415. elastica minore e variabile con la posizione. In particolare il suo valore non sarà
  416. simmetrico rispetto al fuoco del fascio quando si considera il contributo aggiuntivo
  417. della forza di scattering.
  418. \begin{figure}[ht]
  419. \centering
  420. \includegraphics[scale=.4]{images/fkx.pdf}
  421. \caption{Effetto netto della forza di radiazione}
  422. \label{fig:fkx}
  423. \end{figure}
  424. Il valore di $k$ per una certa trappola ottica, come vedremo, può
  425. essere determinato attraverso un'apposita procedura di calibrazione
  426. che sfrutta la diffusione della microsfera all'interno della trappola.
  427. Inoltre è necessario considerare l'effetto degli urti con le molecole
  428. della soluzione liquida in cui la sfera è immersa, che hanno i due
  429. seguenti effetti:
  430. \begin{itemize}
  431. \item La presenza di un attrito viscoso, proporzionale alla
  432. velocità relativa della sfera rispetto al fluido
  433. \item La fluttuazione della sfera rispetto alla posizione di
  434. equilibrio (moto browniano).
  435. \end{itemize}
  436. Riuscendo a misurare le fluttuazioni della posizione della sfera intrappolata,
  437. con un sistema come quello descritto in sezione \ref{sec:tweezer}, è possibile
  438. sfruttare la termodinamica statistica per mettere in relazione
  439. lo spettro di queste
  440. con il parametro $k$ della forza elastica di richiamo
  441. (vedi sezione \ref{sec:calibration}).
  442. In questo modo, una volta determinato $k$, è possibile mettere
  443. in relazione il valore delle forze esterne agenti sulla sfera con il
  444. suo spostamento dalla posizione di riposo.
  445. \section{Microscopia di fluorescenza di singola molecola}
  446. \label{sec:fluo}
  447. % come evitare ripetizione "singola(e) molecola(e)"
  448. Le tecniche di microscopia di fluorescenza di singola molecola consentono
  449. di sondare la posizione e i movimenti di singole molecole con risoluzioni
  450. spaziali e temporali che dipendono dalla tipologia di cromofori utilizzati.
  451. Tipicamente, usando cromofori standard, si riesce ad arrivare a risoluzioni
  452. spaziali di decine di nanometri con un tempo di integrazione di circa \SI{10}{\ms}.
  453. Per avvicinarsi a una risoluzione spaziale di \SI{1}{\nm} è necessario aumentare
  454. il tempo di integrazione fino ad almeno \SI{1}{\s}.
  455. In ambito biologico le molecole che vengono osservate con queste
  456. tecniche sono di varia natura, ad esempio proteine o acidi
  457. nucleici. Anche se alcune di queste molecole possono avere una
  458. debole fluorescenza intrinseca, si fa quasi sempre ricorso alla
  459. marcatura con fluorofori, cioè molecole con caratteristiche di
  460. fluorescenza note e elevata resa quantica. In questo modo è
  461. possibile ottenere livelli di segnale maggiori e soprattutto
  462. un'elevata specificità nel rendere rilevabili solo le molecole
  463. che presentano caratteristiche di interesse.
  464. Queste due proprietà sono, come vedremo, molto importanti per riuscire
  465. a rivelare singole molecole biologiche e per
  466. raggiungere una buona precisione di localizzazione.
  467. Le tecniche di microscopia di fluorescenza sono molto flessibili
  468. e spesso non distruttive: consentono di osservare processi biologici
  469. in tempo reale in celle di reazione, colture cellulari e organismi
  470. viventi.
  471. Un esperimento di microscopia di fluorescenza generalmente
  472. comprende due fasi principali:
  473. \begin{itemize}
  474. \item La marcatura delle molecole di interesse, ovvero
  475. l'attuazione di un protocollo per legare specificamente il
  476. fluoroforo scelto alle molecole che si intende visualizzare.
  477. \item La produzione delle immagini, mediante l'illuminazione del
  478. campione alla lunghezza d'onda di eccitazione del fluoroforo
  479. e la raccolta della radiazione emessa alla lunghezza d'onda
  480. di emissione.
  481. \end{itemize}
  482. Per quanto riguarda la marcatura (o \textit{labeling}) delle
  483. molecole esistono svariate strategie e tipologie di fluorofori
  484. utilizzabili. Il fluoroforo può essere legato covalentemente alla
  485. molecola di interesse attraverso apposite reazioni chimiche,
  486. può essere incorporato in un anticorpo, ovvero una proteina
  487. in grado di riconoscere siti specifici di altre molecole e legarvisi
  488. non covalentemente, oppure tramite l'ingegneria genetica è possibile
  489. fornire a delle cellule le istruzioni per sintetizzare e assemblare
  490. proteine contenenti regioni fluorescenti.
  491. I fluorofori utilizzati possono essere piccole molecole organiche,
  492. nanoparticelle realizzate in materiali semiconduttori (come i punti
  493. quantici) oppure sequenze di amminoacidi.
  494. In commercio si trovano numerosi fluorofori operanti in molteplici
  495. regioni dello spettro visibile e con protocolli di marcatura
  496. standardizzati. La scelta del fluoroforo e del protocollo di marcatura
  497. devono tener conto di numerosi fattori, tra i quali: le condizioni
  498. dell'esperimento (in vivo o in vitro), le possibili interferenze col
  499. comportamento del sistema studiato, la compatibilità con le sostanze
  500. chimiche usate in soluzione, la stabilità del fluoroforo stesso e il
  501. suo tempo di vita.
  502. Per la produzione delle immagini esistono due macro-categorie di
  503. tecniche: le microscopie a campo largo (o \textit{wide-field}) e
  504. le microscopie a scansione puntiforme.
  505. Nel primo caso l'intero volume osservato viene illuminato
  506. uniformemente e la radiazione emessa per fluorescenza viene raccolta
  507. e ingrandita da un opportuno sistema ottico che ricostruisce
  508. l'immagine sulla matrice di un sensore CMOS o CCD.
  509. Nel secondo caso l'area di interesse viene suddivisa in un reticolo
  510. tridimensionale di punti e ogni punto viene acquisito sequenzialmente,
  511. illuminando il più piccolo volume circostante possibile e raccogliendo
  512. tutta la radiazione emessa proveniente dal medesimo volume in un
  513. unico punto, coincidente con l'apertura di un fotodiodo o di un
  514. fotomoltiplicatore.
  515. Il principale vantaggio delle tecniche a scansione rispetto a quelle
  516. a campo largo risiede, solitamente, in una più marcata soppressione del
  517. rumore di fondo dovuto all'emissione di fluorescenza fuori dal
  518. piano focale. I microscopi che sfruttano queste tecniche sono infatti
  519. equipaggiati di opportuni accorgimenti per filtrare sia la radiazione
  520. di eccitazione che quella raccolta, in modo da selezionare uno strato
  521. estremamente sottile del volume del campione.
  522. Le dimensioni del volume selezionato per ogni
  523. punto acquisito possono avvicinarsi molto al limite di diffrazione,
  524. in questo modo è possibile visualizzare in maniera estremamente nitida
  525. strutture con dettagli di dimensioni confrontabili con il limite
  526. di diffrazione.
  527. Lo svantaggio principale invece sta nella massima risoluzione
  528. temporale ottenibile: per acquisire un'immagine è necessario
  529. muovere il campione (o il fascio di illuminazione) attraverso
  530. l'intero reticolo e per ogni punto è richiesto un tempo di sosta
  531. adeguato a raccogliere un numero sufficiente di fotoni.
  532. La risoluzione temporale di un microscopio a scansione, quindi,
  533. decresce all'aumentare delle dimensioni dell'area osservata e della
  534. densità di punti acquisita.
  535. La microscopia a campo largo, acquisendo simultaneamente tutto il
  536. campo visivo in una sola volta, consente di raggiungere risoluzioni
  537. temporali molto elevate anche per campioni estesi. La velocità
  538. di acquisizione di un singolo fotogramma è essenzialmente limitata
  539. dalla sensibilità del sensore usato e dalla velocità di trasferimento
  540. dei dati.
  541. Tuttavia, in questo caso, sul sensore si va a sommare all'immagine
  542. proveniente dai fluorofori nel piano focale quella, fuori fuoco,
  543. di tutti gli emettitori che si trovano su piani diversi attraversati
  544. dal fascio.
  545. In campioni con una elevata densità di fluorofori liberi in soluzione
  546. questo effetto viene particolarmente accentuato, con un impatto
  547. negativo sul rapporto segnale/rumore ottenibile e di conseguenza
  548. sulla possibilità di individuare e localizzare singole molecole.
  549. Per ottenere una sensibilità di singola molecola senza sacrificare
  550. la risoluzione temporale sono state sviluppate tecniche che,
  551. manipolando il fascio di eccitazione, consentono di ridurre lo
  552. spessore del volume di campione eccitato, come la microscopia a
  553. riflessione interna totale
  554. (TIRF, \textit{Total Internal Reflection Fluorescence microscopy})
  555. o quella a foglio di luce inclinato
  556. (HILO, \textit{Highly Inclined and Laminated Optical sheet
  557. microscopy}).
  558. Grazie a queste due tecniche è possibile ottenere una sensibilità
  559. di singola molecola con una risoluzione temporale nell'ordine dei
  560. millisecondi, rendendo possibile ad esempio il tracciamento
  561. degli spostamenti di una proteina.
  562. \subsection{TIRF}
  563. La microscopia di fluorescenza a riflessione interna totale (TIRF)
  564. permette di ridurre il rumore dovuto alla fluorescenza fuori fuoco
  565. sfruttando, per l'eccitazione dei fluorofori, un'onda evanescente
  566. in grado di penetrare solo le prime centinaia di nanometri del
  567. campione.
  568. L'onda evanescente viene ottenuta facendo incidere il fascio
  569. di eccitazione all'interfaccia di separazione tra il vetrino
  570. coprioggetti e il campione con un angolo maggiore rispetto
  571. all'angolo critico $\theta_c$ definito dalla \emph{legge di Snell}.
  572. Un fascio che incide sulla superficie di separazione tra due mezzi con
  573. indice di rifrazione $n_i$ e $n_t$, con un angolo rispetto alla normale
  574. $\theta_i$, verrà rifratto a un angolo $\theta_r$ definito dalla relazione:
  575. \begin{multline}
  576. n_i \sin(\theta_i) = n_t \sin(\theta_t) \\
  577. \Rightarrow \sin(\theta_t) = \frac{n_i}{n_t} \sin(\theta_i) \\
  578. \Rightarrow \left\lvert
  579. \frac{n_i}{n_t} \sin(\theta_i)
  580. \right\rvert \leq 1 \\
  581. \Rightarrow \theta_i \leq \arcsin\left(\frac{n_t}{n_i}\right)
  582. \doteq \theta_c
  583. \end{multline}
  584. Quando un'onda elettromagnetica passa da un mezzo con un indice
  585. di rifrazione più grande a uno con indice di rifrazione più piccolo,
  586. e quindi $\theta_c = \arcsin\left(\tfrac{n_t}{n_i}\right)$ è un angolo
  587. reale, si può avere \emph{riflessione interna totale} se l'angolo
  588. di incidenza è superiore a $\theta_c$.
  589. In queste condizioni tutta l'energia dell'onda incidente viene
  590. riflessa nel primo mezzo e non si ha la formazione di un raggio
  591. rifratto nel secondo.
  592. Per studiare le caratteristiche dell'onda elettromagnetica
  593. nel secondo mezzo è necessario fare ricorso alle equazioni di
  594. Maxwell, che impongono condizioni precise sulla continuità
  595. delle componenti normali e trasverse del campo elettrico attraverso
  596. l'interfaccia tra due materiali diversi.
  597. Un'onda elettromagnetica monocromatica piana con vettore d'onda
  598. $\vec{k}$ e frequenza angolare $\omega$ sarà descritta dal campo elettrico
  599. \begin{equation}
  600. \label{eq:e_field}
  601. \vec{E}(\vec{r},t) =
  602. \vec{E}_0 \Re \left(
  603. e^{i(
  604. \vec{k} \cdot \vec{r}-\omega t
  605. )}
  606. \right)
  607. \end{equation}
  608. La direzione del vettore $k$ corrisponde a quella di propagazione
  609. dell'onda elettromagnetica e il suo modulo, il \emph{numero
  610. d'onda}, dipende dall'indice di rifrazione del mezzo attraversato
  611. e dalle frequenze della radiazione:
  612. \begin{equation}
  613. \label{eq:k_vinc}
  614. k = \frac{\omega}{c / n}
  615. \Rightarrow
  616. k^2 = (\vec{k})_x^2 + (\vec{k})_y^2 + (\vec{k})_z^2
  617. = \frac{n^2 \omega^2}{c^2}
  618. \end{equation}
  619. Consideriamo ora un'onda elettromagnetica che incide sulla superficie
  620. di separazione tra due mezzi, con indici di rifrazione $n_1 > n_2$ e
  621. con un angolo di incidenza rispetto alla normale alla superficie
  622. $\theta_i$.
  623. Possiamo descrivere la propagazione attraverso la superficie di
  624. separazione usando un sistema di riferimento dove l'asse $z$ è
  625. parallelo a essa e il vettore d'onda appartiene al piano $xz$.
  626. Avremo quindi $(\vec{k})_y = 0$ e $k^2 =(\vec{k})_x^2 + (\vec{k})_z^2)$.
  627. \begin{figure}[ht]
  628. \centering
  629. \includegraphics[width=\linewidth]{images/ev_wave.pdf}
  630. \caption{Vincoli sui vettori d'onda all'interfaccia di
  631. separazione tra due mezzi. Le semicirconferenze grigie
  632. hanno raggio pari al modulo del vettore d'onda.}
  633. \label{fig:ev_Wave}
  634. \end{figure}
  635. I vettori $\vec{k}$ delle onde incidenti, trasmessa e riflessa,
  636. devono rispettare il vincolo definito dall'equazione \ref{eq:k_vinc}.
  637. Questa condizione è rappresentata graficamente nella figura
  638. \ref{fig:ev_Wave} dalle due semicirconferenze grigie.
  639. Inoltre, per le condizioni di continuità all'interfaccia imposte
  640. dalle equazioni di Maxwell, deve conservarsi la componente
  641. tangenziale alla superficie di separazione del vettore d'onda,
  642. ovvero:
  643. \begin{equation}
  644. (\vec{k}_i)_z = (\vec{k}_r)_z = (\vec{k}_t)_z
  645. \end{equation}
  646. Da queste due condizioni segue che la componente $x$ del vettore
  647. d'onda trasmesso è data da:
  648. \begin{multline}
  649. (\vec{k}_t)_x
  650. = \sqrt{k_t^2-(\vec{k}_t)_z^2}
  651. = \sqrt{k_t^2-(\vec{k}_i)_z^2}
  652. = \sqrt{k_t^2-k_i^2 \sin^2\theta_i}
  653. = \frac{n_1 \omega}{c} \sqrt{
  654. \left(\frac{n_2}{n_1}\right) - \sin^2\theta_i
  655. }\\
  656. = \frac{n_1 \omega}{c}\sqrt{
  657. \sin^2\theta_c - \sin^2\theta_i
  658. }
  659. \end{multline}
  660. Per angoli di incidenza maggiori rispetto a quello critico,
  661. $\theta_i > \theta_c$, il termine sotto radice diventa negativo.
  662. Si ottiene quindi una componente $(\vec{k}_t)_x$ immaginaria pura:
  663. \begin{multline}
  664. \vec{k}_t =
  665. \left(
  666. \frac{n_1 \omega}{c}\sqrt{
  667. \sin^2\theta_i - \sin^2\theta_c
  668. }
  669. \right) i \vec{\hat{x}}
  670. + \left(
  671. \frac{n_1 \omega}{c} \sin\theta_i
  672. \right) \vec{\hat{z}} = \\
  673. = \alpha i \vec{\hat{x}}
  674. + \left(
  675. \frac{n_1 \omega}{c} \sin\theta_i
  676. \right) \vec{\hat{z}}
  677. \end{multline}
  678. Possiamo ottenere ora l'espressione del campo elettrico trasmesso
  679. sostituendo $\vec{k_t}$ nell'espressione \ref{eq:e_field}:
  680. \begin{equation}
  681. \vec{E}_t(\vec{r},t)
  682. = \vec{E}_{t,0} \Re \left(
  683. e^{i(
  684. \vec{k}_t \cdot \vec{r}-\omega t
  685. )}
  686. \right)
  687. = \vec{E}_{t,0} \Re \left(
  688. e^{i \left[
  689. \left(n_1\omega\sin\theta_i/c\right) z
  690. -\omega t
  691. \right]}
  692. \right)
  693. e^{-\alpha x}
  694. \end{equation}
  695. Il modulo del campo elettrico trasmesso decade quindi
  696. esponenzialmente all'aumentare della distanza dalla superficie di
  697. separazione.
  698. Possiamo definire la profondità di penetrazione $d_p$ come il valore
  699. di $x$ per il quale l'intensità luminosa si è ridotta di un fattore $1/e$
  700. rispetto al valore iniziale:
  701. \begin{equation}
  702. \label{eq:depth}
  703. d_p
  704. = \frac{1}{2\alpha}
  705. = \frac{c}{2 n_1 \omega} \frac{1}{\sqrt{
  706. \sin^2\theta_i - \sin^2\theta_c
  707. }}
  708. = \frac{\lambda_0}{4 \pi n_1} \frac{1}{\sqrt{
  709. \sin^2\theta_i - \sin^2\theta_c
  710. }}
  711. \end{equation}
  712. Questo valore è importante per capire qual è la profondità massima
  713. di un fluoroforo affinché questo possa scambiare energia con
  714. l'onda evanescente ed emettere fluorescenza.
  715. Se consideriamo gli indici di rifrazione tipici del vetrino
  716. coprioggetti ($n_1 \approx 1.5$) e di una soluzione acquosa
  717. ($n_2 \approx 1.3$) otteniamo un angolo critico $\theta_c \approx
  718. \SI{60}{\degree}$.
  719. Considerando una lunghezza d'onda di eccitazione tipicamente usata
  720. in microscopia di fluorescenza, $\lambda_0 = \SI{532}{\nm}$, e
  721. un angolo di incidenza $\theta_i \approx \SI{62}{\degree}$,
  722. otteniamo una profondità di penetrazione $d_p$ di circa \SI{150}{\nm}.
  723. Questi numeri ci danno un'idea del limiti del campo
  724. di applicazione della microscopia TIRF. Quando è necessario
  725. individuare fluorofori che si trovano a una profondità maggiore
  726. di poche centinaia di nanometri rispetto al vetrino coprioggetti
  727. questa tecnica non è più utilizzabile. Inoltre, come recentemente
  728. evidenziato \cite{}, esistono limiti che mettono in discussione
  729. l'applicabilità dell'equazione \ref{eq:depth} in situazioni reali;
  730. questa infatti non tiene conto di alcuni fattori, come la
  731. - seppur piccola - divergenza del fascio laser gaussiano, che non
  732. consente di definire univocamente l'angolo di incidenza.
  733. Le caratteristiche del sistema ottico e variazioni di indice di
  734. rifrazione all'interno del campione possono, in generale, fare sì
  735. che una considerevole parte di radiazione diretta (non evanescente)
  736. attraversi il campione. In generale non è possibile conoscere con
  737. certezza il volume illuminato a priori, ma è necessario eseguire
  738. un qualche tipo di calibrazione.
  739. Per ottimizzare il rapporto segnale/rumore quando si deve lavorare
  740. a profondità maggiori è stata sviluppata un'altra tecnica, la HILO,
  741. che sfrutta le proprietà della rifrazione per comprimere lo spessore
  742. di campione illuminato.
  743. \subsection{HILO}
  744. La microscopia a fogli di luce altamente inclinati
  745. (\textit{Highly Inclined Laminated Optical Sheet microscopy}, HILO)
  746. permette, analogamente alla TIRF, di illuminare uno spessore
  747. ridotto del campione.
  748. In questo caso, come mostrato in figura \ref{fig:hilo}, si sfrutta
  749. un fascio di illuminazione obliquo rispetto alla superficie del
  750. campione. Questo fascio obliquo interseca sempre il centro del
  751. sistema ottico, e quindi la parte del campione a fuoco (ovvero posta
  752. in un piano coniugato del sensore CMOS o CCD),
  753. ma eccitando esclusivamente i fluorofori in uno spessore ridotto
  754. del campione ($d$), attorno al piano focale, a una quota sulla superficie
  755. dipendente dallo spostamento orizzontale del fascio di eccitazione ($\Delta x$).
  756. \begin{figure}[ht]
  757. \centering
  758. \includegraphics[width=\linewidth]{images/hilo.pdf}
  759. \caption{Schema di illuminazione HILO. Effetto
  760. della rifrazione sulla dimensione del fascio (a sinistra) e
  761. relazione tra quota del campione illuminata e spostamento
  762. orizzontale del fascio (a destra).}
  763. \label{fig:hilo}
  764. \end{figure}
  765. Lo spessore verticale illuminato è tanto più piccolo quanto
  766. maggiore è l'angolo di incidenza del fascio e tanto minore è
  767. il diametro del fascio D (e quindi il campo visivo illuminato).
  768. Nel caso dell'ottica geometrica lo spessore $d$ è dato dalla
  769. relazione:
  770. \begin{equation}
  771. d = \frac{D}{\tan\theta_t}
  772. \end{equation}
  773. dove D è il diametro del fascio sul piano di incidenza e $\theta_t$ è l'angolo
  774. del fascio rifratto rispetto alla normale.
  775. Lo spessore $d$, quindi, potrebbe essere reso piccolo a piacere avvicinando l'angolo
  776. di incidenza all'angolo critico. Tuttavia i fasci luminosi utilizzati,
  777. tipicamente generati da un \textit{laser}, sono di tipo gaussiano e
  778. non si propagano secondo le leggi dell'ottica geometrica.
  779. In particolare il raggio minimo del fascio (\textit{waist}) e
  780. la sua divergenza sono inversamente correlati. Se $\$w_0$ è il minimo
  781. valore del raggio del fascio durante la sua propagazione e $z$ è
  782. la distanza, lungo la direzione di propagazione, dal punto di minimo,
  783. l'evoluzione del raggio di un fascio gaussiano seguirà l'andamento:
  784. \begin{equation}
  785. \label{eq:waist}
  786. w(z)
  787. = w_0 \sqrt{1 + \left(
  788. \frac{z}{\pi w_0^2 / \lambda}
  789. \right)^2}
  790. = w_0 \sqrt{1 + \left(
  791. \frac{z}{z_R}
  792. \right)^2}
  793. \end{equation}
  794. Il parametro $z_R$ introdotto nell'equazione \ref{eq:waist} rappresenta
  795. una proprietà importante dei fasci gaussiani, ovvero il \textit{parametro
  796. confocale}. A una distanza $z_R$ dal \textit{waist} lungo la direzione
  797. di propagazione il diametro del fascio risulta aumentato di un fattore
  798. $\sqrt{2}$, per poi continuare a crescere secondo la relazione \ref{eq:waist}.
  799. Quindi, maggiore è la lunghezza $z_R$ minore sarà la divergenza. Questa lunghezza,
  800. però, è inversamente proporzionale al diametro minimo del fascio, come si può
  801. vedere confrontando il secondo e il terzo membro dell'equazione \ref{eq:waist}.
  802. Questo vuol dire che è possibile ottenere un fascio gaussiano con un diametro più
  803. piccolo solo aumentandone la divergenza.
  804. %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%%
  805. Nel caso della diffrazione di un fascio gaussiano, passando da un mezzo
  806. con indice di rifrazione $\theta_i$ a uno con indice di rifrazione $\theta_r$,
  807. le dimensioni del \textit{waist} nella direzione perpendicolare alla
  808. superficie d'incidenza vengono compresse di un fattore
  809. $\cos\theta_i / \cos\theta_r$. La divergenza del fascio sarà però determinata
  810. dal nuovo fattore confocale
  811. $z_R' = \pi (w_0')^2 / \lambda = \pi (w_0 \cos\theta_i / \cos\theta_r)^2 / \lambda$
  812. (vedi figura \ref{fig:gaussian_hilo}).
  813. \begin{figure}[ht]
  814. \centering
  815. \includegraphics[width=0.5\linewidth]{gaussian_hilo.pdf}
  816. \caption{Compressione di un fascio gaussiano in seguito a rifrazione.}
  817. \label{fig:gaussian_hilo}
  818. \end{figure}
  819. Possiamo quindi affermare che viene effettivamente illuminato uno
  820. spessore di campione $\delta x = 2 w_0' = 2 w_0 \cos\theta_i / \cos\theta_r$
  821. attraverso una lunghezza trasversale
  822. $\delta z = 2 z_R' =
  823. 2 \pi (w_0 \cos\theta_i / \cos\theta_r)^2 / \lambda$
  824. Questa tecnica, a differenza della TIRF, permette di effettuare una
  825. scansione in profondità del campione. Infatti, in virtù della
  826. geometria del sistema d'illuminazione, se il piano focale viene
  827. modificato allontanando o avvicinando il campione
  828. dall'obiettivo, la posizione in cui il fascio inclinato incide
  829. sul vetrino risulterà traslata orizzontalmente e, di conseguenza, il
  830. fascio di illuminazione attraverserà il centro del campione in
  831. corrispondenza del piano focale, come mostrato in figura \ref{fig:hilo_focus}
  832. \begin{figure}[ht]
  833. \centering
  834. \includegraphics[width=0.5\linewidth]{hilo_focus.pdf}
  835. \caption{Illuminazione HILO e selezione del piano focale.}
  836. \label{fig:hilo_focus.pdf}
  837. \end{figure}