Tesi magistrale
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  1. %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%%
  2. \chapter{Introduzione}
  3. Gli stimoli meccanici rivestono nell'ambito dei sistemi biologici un
  4. ruolo importante nel determinare il corretto funzionamento di cellule,
  5. tessuti e organismi complessi.
  6. Mentre tradizionalmente la biologia si è occupata di studiare come
  7. processi cellulari e inter-cellulari fossero regolati dallo scambio
  8. di molecole biologiche, il ruolo degli stimoli meccanici è stato a
  9. lungo ritenuto marginale nella descrizione di questi processi.
  10. Lo sviluppo di tecniche sempre più avanzate e precise per la
  11. visualizzazione e la manipolazione di molecole all'interno di campioni
  12. biologici ha iniziato a mutare questa concezione: oggi possiamo
  13. indagare nel dettaglio il funzionamento dei motori molecolari
  14. all'interno delle nostre cellule o misurare come variazioni nella
  15. tensione applicata a un polimero possano indurre una riorganizzazione
  16. strutturale nello stesso e cambiarne le proprietà biochimiche.
  17. Per molti processi biologici il ruolo della forza è fondamentale,
  18. ad esempio nei complessi proteici che legano tra di loro le cellule
  19. in un tessuto, le \emph{giunzioni cellulari}.
  20. Queste si comportano come complesse macchine in grado di elaborare
  21. stimoli di tipo biochimico e meccanico, comunicando e interferendo
  22. con le funzioni del resto della cellula.
  23. Esistono diversi tipi di giunzioni cellulari, responsabili di
  24. specifiche funzioni e caratterizzate dalla reciproca interazione di
  25. diversi tipi di proteine. La dinamica della loro interazione viene
  26. modificata e modulata dalle sollecitazioni meccaniche esterne,
  27. permettendo alle giunzioni di comportarsi come \emph{trasduttori}
  28. di segnali meccanici.
  29. Diversi metodi sono stati proposti e realizzati sperimentalmente
  30. per osservare l'attività di meccano-trasduzione nei sistemi
  31. biologici \cite{??}, sfruttando tecniche sia \textit{in vivo} che
  32. \textit{in vitro}, osservando sia gli effetti macroscopici che
  33. le interazioni tra singole molecole.
  34. Nonostante ciò, per quanto riguarda le giunzioni cellulari, siamo
  35. ancora lontani da una descrizione soddisfacente, sia da un punto
  36. di vista qualitativo che quantitativo, dei meccanismi e delle
  37. interazioni coinvolte.
  38. Raggiungere una migliore comprensione riguardo al ruolo e al
  39. funzionamento della meccano-trasduzione nelle giunzioni cellulari
  40. rappresenta un terreno fertile e un forte stimolo per la ricerca
  41. di base interdisciplinare, spingendo scienziati con formazioni diverse
  42. ad unire le loro competenze e sviluppare tecniche complementari, in
  43. modo da acquisire una visione sempre più globale su fenomeni
  44. estremamente complessi, che coinvolgono simultaneamente processi
  45. meccanici, termodinamici e biochimici.
  46. Lo scopo di questo lavoro di tesi è, sviluppare, in gran parte
  47. \textit{ex-novo}, un apparato sperimentale per lo studio della
  48. meccano-trasduzione in contesti complessi come quello delle giunzioni
  49. cellulari, basato sulla manipolazione ottica di due proteine
  50. interagenti e il \textit{tracking} simultaneo, tramite microscopia di
  51. fluorescenza, di altre singole biomolecole nei pressi del sito di
  52. interazione.
  53. La manipolazione tramite pinzette ottiche rappresenta infatti una
  54. strada molto promettente per lo studio, anche quantitativo, di
  55. effetti meccano-biologici, grazie alla possibilità di ottenere una
  56. precisione di posizionamento nanometrica e di applicare alle molecole
  57. un ampio intervallo di forze nell'ordine dei piconewton e dei
  58. femtonewton.
  59. Le pinzette ottiche permettono di sondare il comportamento di
  60. complessi proteici sottoponendo due molecole interagenti a stress
  61. meccanici controllati e andando a osservare come la dinamica delle
  62. interazioni dipenda dalle forze esterne.
  63. Questo tipo di esperimenti si riconduce alle
  64. \emph{spettroscopie di forza},
  65. che in generale vengono realizzate utilizzando diverse tecniche, come
  66. la microscopia a forza atomica, le onde acustiche o le pinzette
  67. ottiche.
  68. I brevissimi tempi di risposta ottenibili utilizzando queste ultime,
  69. inferiori al millisecondo, hanno fatto si che le pinzette ottiche
  70. fossero applicate con successo allo studio di sistemi interagenti con
  71. affinità molto deboli o rapide modifiche conformazionali, come i
  72. motori molecolari \cite{Capitanio2012}.
  73. L'apparato sperimentale descritto in questo lavoro consiste
  74. sostanzialmente in una ricostruzione di quello utilizzato in
  75. \cite{Capitanio2012}
  76. per lo studio dei motori molecolari per quanto riguarda la componente
  77. di spettroscopia di forza, integrato con un sistema di microscopia di
  78. fluorescenza che consenta di osservare simultaneamente la dinamica di
  79. singole molecole interagenti con le proteine intrappolate.
  80. Infatti, fino a ora il principale limite di questi esperimenti è
  81. stato quello di produrre informazioni dinamiche
  82. esclusivamente sui due componenti interagenti selezionati per la
  83. spettroscopia di forza, trascurando ogni altra possibile interazione.
  84. Se in diversi scenari questo è più che sufficiente, alcuni
  85. sistemi biologici, questo approccio mostra evidenti limiti nello
  86. studio di una complessa rete di interazioni come quella delle
  87. giunzioni cellulari.
  88. Un apparato con queste caratteristiche dovrebbe consentire,
  89. durante un esperimento di spettroscopia di forza, di registrare
  90. simultaneamente sia la risposta meccanica delle due proteine
  91. immobilizzare, sia l'eventuale interazione con altri fattori
  92. opportunamente marcati presenti nella soluzione usata per
  93. l'esperimento.
  94. L'ostacolo principale al raggiungimento di questo risultato è dato
  95. dalla difficoltà di visualizzare, tramite microscopia ottica,
  96. l'attività di una singola molecola fluorescente sopra un fondo di
  97. fluorofori liberi in soluzione.
  98. Una soluzione tipicamente adottata prevede l'uso di schemi di
  99. illuminazione come la riflessione interna totale
  100. (TIRF, \textit{Total Internal Reflection Fluorescence microscopy})
  101. o i fogli di luce inclinati
  102. (HILO, \textit{Highly Inclined and Laminated Optical sheet
  103. microscopy}),
  104. in modo da ridurre il volume di campione eccitato e quindi l'emissione
  105. di fluorescenza di fondo.
  106. Questi schemi di illuminazione però richiedono requisiti molto
  107. stringenti.
  108. Ad esempio per poter utilizzare la TIRF, come approfondito in sezione
  109. \ref{sec:fluo} è necessario che il volume osservato sia nelle
  110. immediate vicinanze della superficie del vetrino
  111. coprioggetti usato per la preparazione del campione,
  112. condizione che è impossibile realizzare negli esperimenti di
  113. spettroscopia di forza, dove le proteine vengono funzionalizzate su
  114. sfere dielettriche di dimensioni micrometriche.
  115. In questo caso infatti il volume di campione
  116. dove si trovano le proteine interagenti ha uno quota significativa
  117. (diverse centinaia di micrometri) rispetto al vetrino coprioggetti.
  118. Scopo dell'apparato sperimentale sarà anche studiare la possibilità di
  119. superare questo limite usando la sfera dielettrica come risuonatore
  120. ottico, e quindi come strumento in grado di trasferire la radiazione
  121. di eccitazione dall'immediata prossimità del vetrino coprioggetti ai
  122. fluorofori presenti in prossimità del sito di interazione.
  123. In questo modo il segnale proveniente da molecole fuori fuoco,
  124. lontane dalla microsfera, sarebbe efficacemente soppresso.
  125. Nelle prossime sezioni è possibile trovare una trattazione più
  126. approfondita degli argomenti introdotti, in particolare nella sezione
  127. \ref{sec:giunzioni} vengono introdotte due importanti tipologie di
  128. giunzioni cellulari particolarmente interessanti per studio con un
  129. sistema combinato come quello qui descritto.\\
  130. Nella sezione \ref{sec:ot} vengono trattate in maniera più
  131. approfondita le pinzette ottiche e la loro applicazione agli
  132. esperimenti di spettroscopia di forza.\\
  133. Nella sezione \ref{sec:fluo} vengono introdotti i principali limiti
  134. della microscopia di fluorescenza e le soluzioni proposte per il loro
  135. superamento.
  136. Nel capitolo \ref{cap:methods} vengono descritte nel dettaglio le
  137. caratteristiche dell'apparato sperimentale realizzato e le procedure
  138. di validazione, calibrazione e acquisizione dei dati.
  139. Nel capitolo \ref{cap:results} sono analizzati i dati prodotti durante
  140. le operazioni di validazione dell'apparato sperimentale e delle
  141. procedure di misura per valutare le prestazioni ottenibili e la loro
  142. adeguatezza agli esperimenti ipotizzati.
  143. % Introduction on the importance of mechanotransduction
  144. %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%%
  145. % between
  146. \section{Giunzioni cellulari}
  147. \label{sec:giunzioni}
  148. Le giunzioni cellulari svolgono un ruolo fondamentale per l'esistenza
  149. stessa degli organismi multicellulari.
  150. Esse sono infatti responsabili della capacità delle cellule di
  151. connettersi l'una con l'altra e di organizzarsi per formare tessuti e
  152. organi con funzioni specifiche.
  153. Le funzioni delle giunzioni cellulari vanno ben oltre quelle di una
  154. passiva struttura di raccordo: esse sono responsabili, ad esempio,
  155. di veicolare informazioni e sostanze tra una cellula e l'altra,
  156. guidare la loro proliferazione o migrazione, mantenere la stabilità
  157. dei tessuti o avviarne la riparazione quando necessario.
  158. \begin{figure}[ht]
  159. \centering
  160. \includegraphics[width=0.5\linewidth]{images/adjunc.pdf}
  161. \caption{Sequenza di cellule connesse da \emph{giunzioni aderenti}
  162. (sopra) e dettaglio di una giunzione aderente, con indicazione
  163. delle principali proteine coinvolte (sotto)}
  164. \label{fig:ad_jun}
  165. \end{figure}
  166. Le giunzioni cellulari possono connettersi direttamente a strutture
  167. interne della cellula (come il citoscheletro) e si formano
  168. dall'auto-assemblamento di un grande numero di proteine differenti.
  169. Per loro natura attraversano la membrana cellulare andando a formare
  170. legami con strutture analoghe presenti in cellule adiacenti o con
  171. strutture intermedie di supporto, come la matrice extra-cellulare.
  172. Esistono diversi tipi di giunzioni che svolgono funzioni specifiche.
  173. Un tipo di giunzione molto comune nei tessuti epiteliali e
  174. endoteliali è la \emph{giunzione aderente}, rappresentata in modo
  175. schematico in figura \ref{fig:ad_jun}.
  176. Nelle giunzioni aderenti la proteina che direttamente ancora il
  177. complesso alla membrana plasmatica è la \emph{caderina}.
  178. Questa è una proteina trans-membrana costituita da un dominio di coda
  179. citoplasmatico e un dominio di testa esterno alla membrana cellulare.
  180. Il dominio extra-membrana è in grado di dimerizzare con domini
  181. analoghi presenti in cellule adiacenti, formando la giunzione.
  182. Il dominio intra-membrana permette di stabilire un collegamento
  183. diretto tra la giunzione cellulare e il citoscheletro di actina,
  184. grazie al legame con una classe di proteine, le \emph{catenine},
  185. in grado di legarsi sia con la coda della caderina che con i filamenti
  186. di actina del citoscheletro.
  187. Oltre a questa connessione diretta esistono altre proteine che
  188. mantengono una connessione indiretta, legando ad esempio le catenine
  189. con il citoscheletro. É stato scoperto \cite{??} che le proteine
  190. \emph{vinculina} e \emph{$\alpha$-actinina} svolgono questa attività.
  191. Sebbene la funzione di questi collegamenti indiretti non sia stata
  192. ancora del tutto compresa, è stato dimostrato che la sua presenza
  193. delle proteine responsabili è fondamentale per il corretto sviluppo
  194. dei tessuti.
  195. Esperimenti su colture cellulari in il gene che codifica l'espressione
  196. della vinculina è stato rimosso suggeriscono come, oltre ad una
  197. riduzione generale dell'adesione tra cellule, si perda alcune funzioni
  198. di regolazione
  199. e modulazione dell'attività delle giunzioni.
  200. La vinculina, quindi, così come altre proteine secondarie, potrebbe
  201. avere un ruolo nel modulare i meccanismi di adesione e svolgere un
  202. ruolo nei processi di meccano-trasduzione.
  203. La possibilità di realizzare esperimenti di spettroscopia di forza in
  204. cui è possibile tenere traccia dell'attività di una o più proteine
  205. secondarie apre la strada verso una maggiore comprensione del loro
  206. ruolo.
  207. Lo stato attuale delle conoscenze sulla rete di interazioni che
  208. governa e regola il funzionamento delle giunzioni aderenti è riportato
  209. schematicamente in Appendice, sotto forma di diagramma delle vie di
  210. segnalazione.
  211. \begin{figure}[ht]
  212. \centering
  213. \includegraphics{images/aj.pdf}
  214. \caption{Ruolo di \textbf{caderina} e catenine nelle
  215. \textit{giunzioni aderenti}}
  216. \label{fig:aj}
  217. \end{figure}
  218. \vspace{1em}
  219. Un'altra classe di giunzioni cellulari è rappresentata dalle
  220. giunzioni occludenti (\textit{tight junction}), la cui caratteristica
  221. principale è quella di sigillare lo spazio intercellulare, rendendolo
  222. impermeabile e impedendo a molecole e ioni di attraversare un
  223. tessuto.
  224. L'organizzazione spaziale delle giunzioni occludenti consente inoltre
  225. la creazione di canali selettivamente permeabili per il trasporto
  226. di specifiche molecole, tuttavia ancora non sono chiari i meccanismi
  227. che modulano e regolano il loro funzionamento.
  228. Come nel caso delle giunzioni aderenti questo emerge dall'interazione
  229. tra un certo numero di proteine interagenti.
  230. \begin{figure}[ht]
  231. \centering
  232. \includegraphics{images/tj.pdf}
  233. \caption{Ruolo di \textbf{ZO-1} nelle \emph{giunzioni occludenti}}
  234. \label{fig:tj}
  235. \end{figure}
  236. Diverse proteine attraversano la membrana e dimerizzano
  237. con le loro omologhe appartenenti alla cellula adiacente,
  238. tra le quali \emph{claudina}, \emph{occludina} e diverse
  239. proteine appartenenti alla classe delle \textit{junctional
  240. adhesion molecules}, (JAM).
  241. Queste proteine di membrana si legano alla proteina
  242. \textit{Zona occludens 1}, ZO-1 che, come mostrato da
  243. recenti studi \cite{??}, potrebbe modulare la formazione
  244. delle giunzioni e occuparsi della trasduzione di segnali
  245. meccanici.
  246. Inoltre vi sono evidenze sul ruolo di una terza proteina,
  247. la \textit{cingulina}, nel modulare l'interazione di ZO-1
  248. con il citoscheletro di actina. Un'ipotesi è che il
  249. legame cingulina-ZO-1 possa indurre delle modifiche
  250. conformazionali in ZO-1 tali da consentire un legame
  251. diretto con in filamenti di actina.
  252. Anche in questo caso, per comprendere il ruolo della cingulina
  253. nella trasduzione dei segnali meccanici, sembra promettente
  254. utilizzare una tecnica che consenta, durante l'osservazione
  255. dell'interazione di due proteine sottoposte a stress
  256. meccanici, di osservare l'eventuale attaccamento al complesso
  257. di una terza proteina. Ad esempio sarebbe possibile ipotizzare
  258. un esperimento in cui allo studio dell'effetto delle sollecitazioni
  259. meccaniche sul legame actina-ZO-1 viene aggiunta l'osservazione
  260. dell'attività della cingulina attraverso microscopia di fluorescenza.
  261. \section{Manipolazione ottica di molecole biologiche}
  262. \label{sec:ot}
  263. Le pinzette ottiche (o \textit{optical tweezers}, OT) sono strumenti
  264. che sfruttano la \emph{forza di radiazione} esercitata da un fascio
  265. laser gaussiano altamente focalizzato su materiali dielettrici, in
  266. modo da intrappolare e manipolare oggetti microscopici con una
  267. precisione sub-nanometrica.
  268. Questa tecnologia sfrutta il gradiente d'intensità di un fascio
  269. gaussiano focalizzato interagente con particelle dielettriche immerse
  270. in un fluido. L'interazione delle particelle con la radiazione fa si
  271. che queste risentano di una forza di richiamo verso una posizione
  272. di equilibrio in prossimità del fuoco del fascio.
  273. Fin dalla loro ideazione vennero subito messe in luce le potenzialità
  274. di questa tecnica quando applicata alla manipolazione di campioni
  275. biologici.
  276. Arthur Ashkin fu, nel 1986, il primo a realizzare sperimentalmente
  277. delle pinzette ottiche, riuscendo a intrappolare microsfere sintetiche
  278. e batteri\cite{Ashkin:86}. Per questo risultato gli fu conferito il
  279. premio Nobel nel 2018, \emph{``per le pinzette ottiche e le loro
  280. applicazioni ai sistemi biologici''}.
  281. Grazie alle pinzette ottiche è possibile intrappolare solidi
  282. dielettrici di diversa dimensione e natura.
  283. Per ottenere la capacità di manipolare individualmente singole
  284. molecole, come le proteine non è possibile procedere ad un
  285. intrappolamento diretto.
  286. Si rende necessario quindi sviluppare protocolli per funzionalizzare
  287. la superficie di sfere dielettriche e legarci le molecole che
  288. intendiamo studiare.
  289. Tipicamente esperimenti di questo tipo vengono realizzati utilizzando
  290. sfere dielettriche di dimensioni micrometriche funzionalizzate legando
  291. covalentemente molecole di \textit{streptavidina} alla loro
  292. superificie.
  293. In questo modo è possibile successivamente ottenere il legame delle
  294. microsfere col polimero biologico d'interesse, purché esso sia stato
  295. preventivamente biotilinato. Si sfrutta in questo modo il legame
  296. streptavidina-biotina, estremamente stabile e praticamente
  297. irreversibile (vedi figura \ref{fig:biotin-streptavidin}).
  298. \begin{figure}[ht]
  299. \centering
  300. \includegraphics[width=0.5\linewidth]{images/biotin-streptavidin.pdf}
  301. \caption{Manipolazione di una proteina target utilizzando una
  302. microsfera intrappolata e il legame biotina-streptavidina.}
  303. \label{fig:biotin-streptavidin}
  304. \end{figure}
  305. Per descrivere quantitativamente il funzionamento delle pinzette
  306. ottiche consideriamo in generale l'effetto dell'interazione tra
  307. una microsfera dielettrica, immersa in una soluzione liquida, e
  308. la radiazione elettromagnetica prodotta da un fascio laser gaussiano
  309. focalizzato.
  310. In generale la forza a cui è soggetta la microsfera interagente
  311. col campo elettromagnetico può essere scomposta in due contributi:
  312. \begin{itemize}
  313. \item La \textbf{forza di \textit{scattering}} o pressione di
  314. radiazione, sempre orientata nella direzione di propagazione
  315. della radiazione e proporzionale alla sua intesità.
  316. \item La \textbf{forza di dipolo} o gradiente, proporzionale
  317. al gradiente d'intensità della radiazione elettromagnetico.
  318. \end{itemize}
  319. L'origine di questi due contributi e la dipenza dalle caratteristiche
  320. della microsfera e del liquido utilizzati possono essere derivate
  321. analiticamente dalle equazioni di Maxwell nei limiti del regime
  322. di Rayleigh, ovvero quando le dimensioni della sfera sono molto
  323. inferiori alla lunghezza d'onda della radiazione utilizzata.
  324. In questo limite possiamo considerare il materiale interagente con la
  325. radiazione come un dipolo elettrico puntiforme, associato ad una
  326. polarizzabilità $\alpha$. Il vettore di polarizzazione nel dipolo
  327. puntiforme sarà quindi $\vec{p} = \alpha \vec{E}$.
  328. La pressione di radiazione sarà quindi proporzionale all'impulso
  329. dei fotoni retrodiffusi per \textit{scattering} Rayleigh.
  330. Nel caso di una microsfera di raggio $a$, indice di rifrazione $n$,
  331. immersa in un fluido con indice di rifrazione $m$, la forza di
  332. \textit{scattering} può essere espressa\cite{HARADA1996529} come:
  333. \begin{equation}
  334. \vec{F}_r = \hat{k} \frac{8 \pi n k^4 a^6}{3c}
  335. \left(
  336. \frac{(n/m)^2 - 1}{(n/m)^2 + 2}
  337. \right)^2
  338. \end{equation}
  339. L'espressione della forza gradiente può essere ottenuta
  340. dall'interazione lorentziana tra la radiazione e il dipolo puntiforme:
  341. $$ \vec{F}_g =
  342. \left(
  343. \vec{p} \cdot \vec{\nabla}
  344. \right)
  345. \vec{E}
  346. + \frac{d\vec{p}}{dt} \times \vec{B}
  347. $$
  348. Ovvero, una volta sostituito il vettore di polarizzazione:
  349. $$ \vec{F}_g =
  350. \alpha
  351. \left[
  352. \left( \vec{E} \cdot \vec{\nabla} \right) \vec{E}
  353. + \frac{d\vec{E}}{dt} \times \vec{B}
  354. \right]
  355. $$
  356. E infine, tenendo conto delle \emph{equazioni di Maxwell} e
  357. dell'algebra dei vettori:
  358. \begin{equation}
  359. \label{dipole_force}
  360. \vec{F_g} =
  361. \alpha
  362. \left[
  363. \frac{1}{2}\nabla E^2
  364. + \frac{d}{dt}\left(\vec{E} \times \vec{B}\right)
  365. \right]
  366. \end{equation}
  367. Questa ultima forma (equazione \ref{dipole_force}) ci permette di
  368. mettere in evidenza il termine $\frac{d}{dt}(\vec{E} \times \vec{B})$,
  369. ovvero la derivata temporale di una quantità oscillante molto
  370. rapidamente (\SI{> 1e14}{\Hz}), che
  371. può tranquillamente essere considerata costante se confrontata con in
  372. tempi tipici dell'evoluzione meccanica del sistema.
  373. Il secondo termine può quindi essere trascurato e, sostituendo ad
  374. $\alpha$ l'espressione per la polarizzabilità della microsfera
  375. otteniamo:
  376. \begin{equation}
  377. \vec{F}_g =
  378. \frac{2\pi n a^3}{c}
  379. \left(
  380. \frac{(n/m)^2 - 1}{(n/m)^2 + 2}
  381. \right)
  382. \nabla I(\vec{r})
  383. \end{equation}
  384. Il risultato netto dei due contributi è che la microsfera tenderà ad
  385. occupare una posizione di equilibrio nel punto in cui i due contributi
  386. si cancellano e, se perturbata, risentirà di una forza di richiamo
  387. verso la posizione di equilibrio.
  388. Un risultato qualitativamente identico è dimostrabile nel limite
  389. dell'ottica geometrica, quando la particella è al contrario di
  390. dimensioni molto maggiori alla lunghezza d'onda intermedia.
  391. Il caso intermedio richiede l'uso della più complessa teoria
  392. Lorenz-Mie e spesso il ricorso a soluzioni numeriche, ma l'idea
  393. qualitativa alla base dell'intrappolamento resta valida.
  394. Nel caso generale i requisiti per un intrappolamento efficace sono
  395. quelli di avere una forza di gradiente maggiore di quella di
  396. scattering e una energia cinetica delle particelle intrappolate
  397. sufficientemente bassa (quindi un fluido sufficientemente viscoso).
  398. Per le nostre applicazioni è sufficiente considerare una forza di
  399. richiamo del tipo
  400. \begin{equation}
  401. \vec{F} = -k(\vec{x}-\vec{x}_{eq})
  402. \end{equation}
  403. \begin{figure}[ht]
  404. \centering
  405. \includegraphics[scale=.4]{images/fkx.pdf}
  406. \caption{Effetto netto della forza di radiazione}
  407. \label{fig:fkx}
  408. \end{figure}
  409. Il valore di $k$ per una certa trappola ottica, come vedremo, può
  410. essere determinato attraverso un'apposita procedura di calibrazione
  411. che sfrutta la diffusione della microsfera all'interno della trappola.
  412. Inoltre è necessario considerare l'effetto degli urti con le molecole
  413. della soluzione liquida in cui la sfera è immersa, che hanno i due
  414. seguenti effetti:
  415. \begin{itemize}
  416. \item La presenza di un attrito viscoso, proporzionale alla
  417. velocità relativa della sfera rispetto al fluido
  418. \item La fluttuazione della sfera rispetto alla posizione di
  419. equilibrio (moto browniano).
  420. \end{itemize}
  421. Grazie alla termodinamica statistica è possibile mettere in relazione
  422. lo spettro delle fluttuazioni di posizione di una sfera intrappolata
  423. con il parametro $k$ della forza elastica di richiamo
  424. (vedi Appendice \ref{app:fluctuaction_spectrum}).
  425. In questo modo, una volta determinato $k$, è possibile mettere
  426. in relazione il valore delle forze esterne agenti sulla sfera con il
  427. suo spostamento dalla posizione di riposo.
  428. \section{Microscopia di fluorescenza di singola molecola}
  429. \label{sec:fluo}
  430. % come evitare ripetizione "singola(e) molecola(e)"
  431. Tipicamente, le tecniche di microscopia di fluorescenza di singola
  432. molecola consentono di sondare la posizione e i movimenti di singole
  433. molecole con risoluzioni spaziali e temporali prossime,
  434. rispettivamente, al nanometro e al millisecondo.
  435. In ambito biologico le molecole che vengono osservate con questa
  436. tecniche sono polimeri di varia natura, come proteine e acidi
  437. nucleici. Anche se alcune di queste molecole possono avere una
  438. debole fluorescenza intrinseca, si fa quasi sempre ricorso alla
  439. marcatura con fluorofori, cioè molecole con caratteristiche di
  440. fluorescenza note e elevata resa quantica. In questo modo è
  441. possibile ottenere livelli di segnale maggiori e soprattutto
  442. un'elevata specificità nel rendere rilevabili solo le molecole
  443. che presentano caratteristiche di interesse.
  444. Queste due proprietà sono, come vedremo, molto importanti per
  445. raggiungere una buona precisione di localizzazione.
  446. Le tecniche di microscopia di fluorescenza sono molto flessibili
  447. e spesso non distruttive: consentono di osservare processi biologici
  448. in tempo reale in celle di reazione, colture cellulari e organismi
  449. viventi.
  450. Un esperimento di microscopia di fluorescenza generalmente
  451. comprende due fasi principali:
  452. \begin{itemize}
  453. \item La marcatura delle molecole di interesse, ovvero
  454. l'attuazione di un protocollo per legare specificamente il
  455. fluoroforo scelto alle molecole che si intende visualizzare.
  456. \item La produzione delle immagini, mediante l'illuminazione del
  457. campione alla lunghezza d'onda di eccitazione del fluoroforo
  458. e la raccolta della radiazione emessa alla lunghezza d'onda
  459. di emissione.
  460. \end{itemize}
  461. Per quanto riguarda la marcatura (o \textit{labeling}) delle
  462. molecole esistono svariate strategie e tipologie di fluorofori
  463. utilizzabili. Il fluoroforo può essere legato covalentemente alla
  464. molecola di interesse attraverso apposite reazioni chimiche,
  465. può essere incorporato in un anticorpo, ovvero una proteina
  466. in grado di riconoscere siti specifici di altre molecole e legarvisi
  467. non covalentemente, oppure tramite l'ingegneria genetica è possibile
  468. fornire a delle cellule le istruzioni per sintetizzare e assemblare
  469. proteine contenenti regioni fluorescenti.
  470. I fluorofori utilizzati possono essere piccole molecole organiche,
  471. nanoparticelle realizzate in materiali semiconduttori (come i punti
  472. quantici) oppure sequenze di amminoacidi.
  473. In commercio si trovano numerosi fluorofori operanti in molteplici
  474. regioni dello spettro visibile e con protocolli di marcatura
  475. standardizzati. La scelta del fluoroforo e del protocollo di marcatura
  476. devono tener conto di numerosi fattori, tra i quali: le condizioni
  477. dell'esperimento (in vivo o in vitro), le possibili interferenze col
  478. comportamento del sistema studiato, la compatibilità con le sostanze
  479. chimiche usate in soluzione, la stabilità del fluoroforo stesso e il
  480. suo tempo di vita.
  481. Per la produzione delle immagini esistono due macro-categorie di
  482. tecniche: le microscopie a campo largo (o \textit{wide-field}) e
  483. le miscroscopie a scansione puntiforme.
  484. Nel primo caso l'intero volume osservato viene illuminato
  485. uniformemente e la radiazione emessa per fluorescenza viene raccolta
  486. e ingrandita da un opportuno cammino ottico che ricostruisce
  487. l'immagine sulla matrice di un sensore CMOS o CCD.
  488. Nel secondo caso l'area di interesse viene suddivisa in un reticolo
  489. tridimensionale di punti e ogni punto viene acquisito sequenzialmente,
  490. illuminando il più piccolo volume circostante possibile e raccogliendo
  491. tutta la radiazione emessa proveniente dal medesimo volume in un
  492. unico punto, coincidente con l'apertura di un fotodiodo o di un
  493. fotomoltiplicatore.
  494. Il principale vantaggio delle tecniche a scansione rispetto a quelle
  495. a campo largo risiede in una più marcata soppressione del
  496. rumore di fondo dovuto all'emissione di fluorescenza fuori dal
  497. piano focale. I microscopi che sfruttano queste tecniche sono infatti
  498. equipaggiati di opportuni accorgimenti per filtrare sia la radiazione
  499. di eccitazione che quella raccolta, in modo da selezionare uno strato
  500. estremamente sottile del volume del campione.
  501. Le dimensioni del volume selezionato per ogni
  502. punto acquisito possono avvicinarsi molto al limite di diffrazione,
  503. in questo modo è possibile visualizzare in maniera estremamente nitida
  504. strutture con dettagli di dimensioni confrontabili con il limite
  505. di diffrazione.
  506. Lo svantaggio principale invece sta nella massima risoluzione
  507. temporale ottenibile: per acquisire un'immagine è necessario
  508. muovere il campione (o il fascio di illuminazione) attraverso
  509. l'intero reticolo e per ogni punto è richiesto un tempo di sosta
  510. adeguato a raccogliere un numero sufficiente di fotoni.
  511. La risoluzione temporale di un microscopio a scansione, quindi,
  512. decresce all'aumentare delle dimensioni dell'area osservata e della
  513. densità di punti acquisita.
  514. La microscopia a campo largo, acquisendo simultaneamente tutto il
  515. fotogramma in una sola volta, consente di raggiungere risoluzioni
  516. temporali molto elevate anche per campioni estesi. La velocità
  517. di acquisizione di un singolo fotogramma è essenzialmente limitata
  518. dalla sensibilità del sensore usato e dalla velocità della sua scheda
  519. elettronica.
  520. Tuttavia, in questo caso, sul sensore si va a sommare all'immagine
  521. proveniente dai fluorofori nel piano focale quella, fuori fuoco,
  522. di tutti gli emettitori che si trovano su piani diversi attraversati
  523. dal fascio.
  524. In campioni con una elevata densità di fluorofori liberi in soluzione
  525. questo effetto viene particolarmente accentuato, con un impatto
  526. negativo sul rapporto segnale/rumore ottenibile e di conseguenza
  527. sulla possibilità di individuare e localizzare singole molecole.
  528. Per ottenere una sensibilità di singola molecola senza sacrificare
  529. la risoluzione temporale sono state sviluppate tecniche che,
  530. manipolando il fascio di eccitazione, consentono di ridurre lo
  531. spessore del volume di campione eccitato, come la microscopia a
  532. riflessione interna totale
  533. (TIRF, \textit{Total Internal Reflection Fluorescence microscopy})
  534. o quella a fogli di luce inclinati
  535. (HILO, \textit{Highly Inclined and Laminated Optical sheet
  536. microscopy}).
  537. Grazie a queste due tecniche è possibile ottenere una sensibilità
  538. di singola molecola a una risoluzione temporale nell'ordine dei
  539. millisecondi, rendendo possibile ad esempio il tracciamento
  540. degli spostamenti di una proteina.
  541. \subsection{TIRF}
  542. La microscopia di fluorescenza a riflessione interna totale (TIRF)
  543. permette di ridurre il rumore dovuto alla fluorescenza fuori fuoco
  544. sfruttando, per l'eccitazione dei fluorofori, un'onda evanescente
  545. in grado di penetrare solo le prime centinaia di nanometri del
  546. campione.
  547. L'onda evanescente viene ottenuta facendo incidere il fascio
  548. di eccitazione all'interfaccia di separazione tra il vetrino
  549. coprioggetti e il campione con un angolo maggiore rispetto
  550. all'angolo critico $\theta_c$ definito dalla \emph{legge di Snell}:
  551. \begin{multline}
  552. n_i \sin(\theta_i) = n_t \sin(\theta_t) \\
  553. \Rightarrow \sin(\theta_t) = \frac{n_i}{n_t} \sin(\theta_i) \\
  554. \Rightarrow \left\lvert
  555. \frac{n_i}{n_t} \sin(\theta_i)
  556. \right\rvert \leq 1 \\
  557. \Rightarrow \theta_i \leq \arcsin\left(\frac{n_t}{n_i}\right)
  558. \doteq \theta_c
  559. \end{multline}
  560. Quando un'onda elettromagnetica passa da un mezzo con un indice
  561. di rifrazione più grande a uno con indice di rifrazione più piccolo,
  562. e quindi $\theta_c = \arcsin\left(\tfrac{n_t}{n_i}\right)$ è un angolo
  563. reale, si può avere \emph{riflessione interna totale} se l'angolo
  564. di incidenza è superiore a $\theta_c$.
  565. In queste condizioni tutta l'energia dell'onda incidente viene
  566. riflessa nel primo mezzo e non si ha la formazione di un raggio
  567. trasmesso nel secondo.
  568. Per studiare le caratteristiche dell'onda elettromagnetica
  569. nel secondo mezzo è necessario fare ricorso alle equazioni di
  570. Maxwell, che impongono condizioni precise sulla continuità
  571. delle componenti normali e trasverse del campo elettrico attraverso
  572. l'interfaccia tra due materiali diversi.
  573. Un'onda elettromagnetica monocromatica piana con vettore d'onda
  574. $\vec{k}$ sarà descritta dal campo elettrico
  575. \begin{equation}
  576. \label{eq:e_field}
  577. \vec{E}(\vec{r},t) =
  578. \vec{E}_0 * \Re \left(
  579. e^{i(
  580. \vec{k} \cdot \vec{r}-\omega t
  581. )}
  582. \right)
  583. \end{equation}
  584. La direzione del vettore $k$ corrisponde a quella di propagazione
  585. dell'onda elettromagnetica e il suo modulo, il \emph{numero
  586. d'onda}, dipende dall'indice di rifrazione del mezzo attraversato
  587. e dalle frequenza della radiazione:
  588. \begin{equation}
  589. \label{eq:k_vinc}
  590. k = \frac{\omega}{c / n}
  591. \Rightarrow
  592. (\vec{k})_x^2 + (\vec{k})_y^2 + (\vec{k})_z^2
  593. = \frac{n^2 \omega^2}{c^2}
  594. \end{equation}
  595. Consideriamo ora un'onda elettromagnetica che incide sulla superficie
  596. di separazione tra due mezzi, con indici di rifrazione $n_1 > n_2$,
  597. con un angolo di incidenza rispetto alla normale alla superficie
  598. $\theta_i$.
  599. Possiamo descrivere la propagazione attraverso la superficie di
  600. separazione usando un sistema di riferimento dove l'asse $z$ è
  601. parallela a essa e il vettore d'onda appartiene al piano $xz$.
  602. \begin{figure}[ht]
  603. \centering
  604. \includegraphics[width=\linewidth]{images/ev_wave.pdf}
  605. \caption{Vincoli sui vettori d'onda all'interfaccia di
  606. separazione tra due mezzi. Le semicirconferenze grigie
  607. hanno raggio pari al modulo del vettore d'onda.}
  608. \label{fig:ev_Wave}
  609. \end{figure}
  610. I vettori $\vec{k}$ delle onde incidenti, trasmessa e riflessa
  611. devono rispettare il vincolo definito dall'equazione \ref{eq:k_vinc}.
  612. Questa condizione è rappresentata graficamente nella figura
  613. \ref{fig:ev_Wave} dalle due semicirconferenze grigie.
  614. Inoltre, per le condizioni di continuità all'interfaccia imposte
  615. dalle equazioni di Maxwell, deve conservarsi la componente
  616. tangenziale alla superficie di separazione del vettore d'onda,
  617. ovvero:
  618. \begin{equation}
  619. (\vec{k}_i)_z = (\vec{k}_r)_z = (\vec{k}_t)_z
  620. \end{equation}
  621. Da queste due condizioni segue che la componente $x$ del vettore
  622. d'onda trasmesso è data da:
  623. \begin{multline}
  624. (\vec{k}_t)_x
  625. = \sqrt{k_t^2-(\vec{k}_t)_z^2}
  626. = \sqrt{k_t^2-(\vec{k}_i)_z^2}
  627. = \sqrt{k_t^2-k_i^2 \sin^2\theta_i}
  628. = \frac{n_1 \omega}{c} \sqrt{
  629. \left(\frac{n_2}{n_1}\right) - \sin^2\theta_i
  630. }\\
  631. = \frac{n_1 \omega}{c}\sqrt{
  632. \sin^2\theta_c - \sin^2\theta_i
  633. }
  634. \end{multline}
  635. Per angoli di incidenza maggiori rispetto a quello critico,
  636. $\theta_i > \theta_c$, il termine sotto radice diventa negativo.
  637. Si ottiene quindi una componente $(\vec{k}_t)_x$ immaginaria pura:
  638. \begin{multline}
  639. \vec{k}_t =
  640. \left(
  641. \frac{n_1 \omega}{c}\sqrt{
  642. \sin^2\theta_i - \sin^2\theta_c
  643. }
  644. \right) i \vec{\hat{x}}
  645. + \left(
  646. \frac{n_1 \omega}{c} \sin\theta_i
  647. \right) \vec{\hat{z}} = \\
  648. = \alpha i \vec{\hat{x}}
  649. + \left(
  650. \frac{n_1 \omega}{c} \sin\theta_i
  651. \right) \vec{\hat{z}}
  652. \end{multline}
  653. Possiamo ottenere ora l'espressione del campo elettrico trasmesso
  654. sostituendo $\vec{k_t}$ nell'espressione \ref{eq:e_field}:
  655. \begin{equation}
  656. \vec{E}_t(\vec{r},t)
  657. = \vec{E}_{t,0} \Re \left(
  658. e^{i(
  659. \vec{k}_t \cdot \vec{r}-\omega t
  660. )}
  661. \right)
  662. = \vec{E}_{t,0} \Re \left(
  663. e^{i \left[
  664. \left(n_1\omega\sin\theta_i/c\right) z
  665. -\omega t
  666. \right]}
  667. \right)
  668. e^{-\alpha x}
  669. \end{equation}
  670. L'ampiezza del campo elettrico trasmesso decade quindi
  671. esponenzialmente all'aumentare della distanza dalla superficie di
  672. separazione.
  673. Possiamo definire la profondità di penetrazione $d_p$ come il valore
  674. di $x$ per il quale l'ampiezza del campo elettrico è scesa a $1/e$
  675. del valore iniziale:
  676. \begin{equation}
  677. d_p
  678. = \frac{1}{\alpha}
  679. = \frac{c}{n_1 \omega} \frac{1}{\sqrt{
  680. \sin^2\theta_i - \sin^2\theta_c
  681. }}
  682. = \frac{\lambda_0}{2 \pi n_1} \frac{1}{\sqrt{
  683. \sin^2\theta_i - \sin^2\theta_c
  684. }}
  685. \end{equation}
  686. Questo valore è importante per capire qual è la profondità massima
  687. di un fluoroforo affinché questo possa scambiare energia con
  688. l'onda evanescente ed emettere fluorescenza.
  689. Se consideriamo gli indici di rifrazione tipici del vetrino
  690. coprioggetti ($n_1 \approx 1.5$) e di una soluzione acquosa
  691. ($n_2 \approx 1.3$) otteniamo un angolo critico $\theta_c \approx
  692. \SI{60}{\degree}$.
  693. Considerando una lunghezza d'onda di eccitazione tipicamente usata
  694. in microscopia di fluorescenza, $\lambda_0 = \SI{532}{\nm}$, e
  695. un angolo di incidenza $\theta_c \approx \SI{62}{\degree}$,
  696. otteniamo una profondità di penetrazione $d_p$ di circa \SI{300}{\nm}.
  697. \subsection{HILO}