Tesi magistrale
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402 lines
18 KiB

  1. %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%%
  2. \chapter{Introduzione}
  3. Gli stimoli meccanici rivestono nell'ambito dei sistemi biologici un
  4. ruolo importante nel determinare il corretto funzionamento di cellule,
  5. tessuti e organismi complessi.
  6. Mentre tradizionalmente la biologia si è occupata di studiare come
  7. processi cellulari e inter-cellulari fossero regolati dallo scambio
  8. di molecole biologiche, il ruolo degli stimoli meccanici è stato a
  9. lungo ritenuto marginale nella descrizione di questi processi.
  10. Lo sviluppo di tecniche sempre più avanzate e precise per la
  11. visualizzazione e la manipolazione di molecole all'interno di campioni
  12. biologici ha iniziato a mutare questa concezione: oggi possiamo
  13. indagare nel dettaglio il funzionamento dei motori molecolari
  14. all'interno delle nostre cellule o misurare come variazioni nella
  15. tensione applicata a un polimero possano indurre una riorganizzazione
  16. strutturale nello stesso e cambiarne le proprietà biochimiche.
  17. Per molti processi biologici il ruolo della forza è fondamentale,
  18. ad esempio nei complessi proteici che legano tra di loro le cellule
  19. in un tessuto, le \emph{giunzioni cellulari}.
  20. Queste si comportano come complesse macchine in grado di elaborare
  21. stimoli di tipo biochimico e meccanico, comunicando e interferendo
  22. con le funzioni del resto della cellula.
  23. Esistono diversi tipi di giunzioni cellulari, responsabili di
  24. specifiche funzioni e caratterizzate dalla reciproca interazione di
  25. diversi tipi di proteine. La dinamica della loro interazione viene
  26. modificata e modulata dalle sollecitazioni meccaniche esterne,
  27. permettendo alle giunzioni di comportarsi come \emph{trasduttori}
  28. di segnali meccanici.
  29. Per osservare e descrivere quantitativamente questi effetti di
  30. \emph{meccano-trasduzione} una strada molto promettente è
  31. rappresentata dalla manipolazione in vitro di singole molecole
  32. utilizzando pinzette ottiche.
  33. Le pinzette ottiche permettono di sondare il comportamento di
  34. complessi proteici sottoponendo le singole molecole a stimoli
  35. meccanici controllati e andando ad osservare come la dinamica delle
  36. interazioni dipenda dalle forze esterne.
  37. La teoria alla base del loro funzionamento è
  38. introdotta nella sezione \ref{sec:ot}.
  39. Per indagare la dinamica delle interazioni tra due macromolecole
  40. (proteine ad esempio) soggette a stimoli meccanici è possibile
  41. eseguire esperimenti di \emph{spettroscopia di forza}, in cui si va
  42. ad osservare il comportamento delle molecole applicandovi forze
  43. di trazione o torsione dall'esterno.
  44. La spettroscopia di forza può essere realizzata sperimentalmente
  45. con diverse tecniche, tra le quali la microscopia a forza atomica e
  46. le pinzette ottiche.
  47. Quando la dinamica delle interazioni studiate cambia molto
  48. rapidamente, come nel caso di affinità deboli o rapidi cambiamenti
  49. conformazionali, è necessario sviluppare metodi che abbiano tempi
  50. di risposta molto brevi, sotto il millisecondo.
  51. Un sistema con queste caratteristiche è stato sviluppato in \cite{},
  52. utilizzando due pinzette ottiche la cui posizione può essere
  53. controllata in maniera ultraveloce attraverso modulatori
  54. acusto-ottici (AOM). In questo modo è
  55. intermittenti è necessario che le pinzette ottiche siano
  56. combinate con tecniche ultraveloci per il posizionamento
  57. delle trappole e il rilevamento degli spostamenti degli oggetti intrappolati. L'idea alla base di questi
  58. esperimenti e alcuni esempi sono illustarti in
  59. sezione \ref{sec:force_clamp}.
  60. Fino a ora il principale limite di questi esperimenti è
  61. stato quello di produrre informazioni dinamiche
  62. esclusivamente sui due componenti interagenti selezionati,
  63. trascurando ogni altra possibile interazione.
  64. Se in diversi scenari questo è più che sufficiente, alcuni
  65. sistemi biologici, come le giunzioni cellulari, sono formati da un gran numero di diverse proteine mutualmente
  66. interagenti.
  67. L'idea alla base di questa tesi è di osservare, durante
  68. un esperimento di spettroscopia \textit{force-clamp} in
  69. cui viene applicata una tensione e studiata l'interazione
  70. tra due proteine appartenenti ad una giunzione cellulare,
  71. la dinamica dell'interazione con altri fattori che potrebbero svolgere un ruolo importante nella trasduzione dei segnali meccanici.
  72. La strategia scelta per ottenere questo prevede
  73. di inserire questi fattori aggiunti alla cella di reazione
  74. per l'esperimento \textit{force-clamp}, opportunamente
  75. marcati con fluorofori, e di utilizzare opportune
  76. tecniche di microscopia di fluorescenza per rilevare
  77. l'interazione di questi fattori liberi in soluzione
  78. con le proteine immobilizzate.
  79. L'ostacolo principale al raggiungimento di questo
  80. risultato è dato dalla difficoltà di visualizzare,
  81. tramite microscopia ottica, l'attività di una singola
  82. molecola fluorescente legata sopra un fondo di fluorofori
  83. liberi in soluzione. Per questo motivo è necessario
  84. utilizzare tecniche che garantiscano un'elevata
  85. soppressione del rumore di fondo, come la microscopia
  86. a riflessione interna totale (TIRF, \textit{Total Interal Reflection Fluorescence microscopy}) o la microscopia
  87. a fogli di luce laminari altamente inclinati (HILO, \textit{Higly Inclined and Laminated Optical sheet microscopy}). Queste tecniche insieme alle basi della
  88. microscopia di fluorescenza sono descritte nella
  89. sezione \ref{sec:fluo}.
  90. In questo modo sarà possibile studiare, in un ambiente
  91. controllato (proteine in soluzione e immobilizzate su microsfere), la complessa rete di interazioni che governa
  92. il funzionamento delle giunzioni cellulari, aggiungendo
  93. all'informazione \emph{meccanica} su due proteine soggette
  94. a tensione esterna quella sull'attivaziono o disattivazione del legame con gli altri fattori coinvolti.
  95. % Introduction on the importance of mechanotransduction
  96. %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%%
  97. % between
  98. \section{Giunzioni cellulari}
  99. \label{sec:giunzioni}
  100. Le giunzioni cellulari svolgono un ruolo fondamentale per l'esistenza
  101. stessa degli organismi multicellulari.
  102. Esse sono infatti responsabili della capacità delle cellule di connettersi
  103. l'una con l'altra e di organizzarsi per formare tessuti e organi con
  104. funzioni specifiche.
  105. Le funzioni delle giunzioni cellulari vanno ben oltre quelle di una passiva
  106. struttura di raccordo: esse sono responsabili, ad esempio,
  107. di veicolare informazioni e
  108. sostanze tra una cellula e l'altra, guidare la loro proliferazione o migrazione, mantenere la stabilità dei tessuti o avviarne la
  109. riparazione quando necessario.
  110. \begin{figure}
  111. \centering
  112. \includegraphics[width=0.5\linewidth]{images/adjunc.pdf}
  113. \caption{Sequenza di cellule connesse da \emph{giunzioni aderenti} (sopra) e dettaglio di una giunzione aderente, con indicazione delle principali proteine coinvolte (sotto)}
  114. \label{fig:ad_jun}
  115. \end{figure}
  116. Le giunzioni cellulari possono connettersi direttamente a strutture interne
  117. della cellula (come il citoscheletro) e si formano dall'auto-assemblamento
  118. di un grande numero di proteine differenti. Per loro natura attraversano
  119. la membrana cellulare andando a formare legami con strutture analoghe
  120. presenti in cellule adiacenti o con strutture intermedie di supporto,
  121. come la matrice extra-cellulare.
  122. Esistono diversi tipi di giunzioni che svolgono funzioni specifiche.
  123. Un tipo di giunzione molto comune nei tessuti epiteliali e
  124. endoteliali è la \emph{giunzione aderente}, rappresentata in modo
  125. schematico in figura \ref{fig:ad_jun}.
  126. Nelle giunzioni aderenti la proteina che direttamente ancora il
  127. complesso alla membrana plasmatica è la \emph{caderina}.
  128. Questa è una proteina trans-membrana costituita da un dominio di coda
  129. citoplasmatico e un dominio di testa esterno alla membrana cellulare.
  130. Il dominio extra-membrana è in grado di dimerizzare con domini analoghi
  131. presenti in cellule adiacenti, formando la giunzione.
  132. Il dominio intra-membrana permette di stabilire un collegamento diretto
  133. tra la giunzione cellulare e il citoscheletro di actina, grazie al legame
  134. con una classe di proteine, le \emph{catenine}, in grado di legarsi sia con
  135. la coda della caderina che con i filamenti di actina del citoscheletro.
  136. Oltre a questa connessione diretta esistono altre proteine che mantengono
  137. una connessione indiretta, legando ad esempio le catenine con il
  138. citoscheletro. É stato scoperto \cite{??} che le proteine \emph{vinculina}
  139. e \emph{$\alpha$-actinina} svolgono questa attività.
  140. Sebbene la funzione di questi collegamenti indiretti non sia stata ancora
  141. del tutto compresa, è stato dimostrato che la sua presenza delle proteine
  142. responsabili è fondamentale per il corretto sviluppo dei tessuti.
  143. Esperimenti su colture cellulari in il gene che codifica l'espressione
  144. della vinculina è stato rimosso suggeriscono come, oltre ad una riduzione
  145. generale dell'adesione tra cellule, si perda alcune funzioni di regolazione
  146. e modulazione dell'attività delle giunzioni.
  147. La vinculina, quindi, così come altre proteine secondarie, potrebbe avere
  148. un ruolo nel modulare i meccanismi di adesione e svolgere un ruolo nei
  149. processi di meccano-trasduzione.
  150. La possibilità di realizzare esperimenti di spettroscopia di forza in cui è
  151. possibile tenere traccia dell'attività di una o più proteine secondarie
  152. apre la strada verso una maggiore comprensione del loro ruolo.
  153. Lo stato attuale delle conoscenze sulla rete di interazioni che governa e
  154. regola il funzionamento delle giunzioni aderenti è riportato in Appendice,
  155. sotto forma di diagramma delle vie di segnalazione.
  156. \begin{figure}
  157. \centering
  158. \includegraphics{images/aj.pdf}
  159. \caption{Ruolo di \textbf{caderina} e catenine nelle \textit{giunzioni aderenti}}
  160. \label{fig:aj}
  161. \end{figure}
  162. \vspace{1em}
  163. Un'altra classe di giunzioni cellulari è rappresentata dalle
  164. giunzioni occludenti (\textit{tight junction}), la cui caratteristica
  165. principale è quella di sigillare lo spazio intercellulare, rendendolo
  166. impermeabile e impedendo a molecole e ioni di attraversare un
  167. tessuto.
  168. L'organizzazione spaziale delle giunzioni occludenti consente inoltre
  169. la creazione di canali selettivamente permeabili per il trasporto
  170. di specifiche molecole, tuttavia ancora non sono chiari i meccanismi
  171. che modulano e regolano il loro funzionamento.
  172. Come nel caso delle giunzioni aderenti questo emerge dall'interazione
  173. tra un certo numero di proteine interagenti.
  174. \begin{figure}
  175. \centering
  176. \includegraphics{images/tj.pdf}
  177. \caption{Ruolo di \textbf{ZO-1} nelle \emph{giunzioni occludenti}}
  178. \label{fig:tj}
  179. \end{figure}
  180. Diverse proteine attraversano la membrana e dimerizzano
  181. con le loro omologhe appartenenti alla cellula adiacente,
  182. tra le quali \emph{claudina}, \emph{occludina} e diverse
  183. proteine appartenenti alla classe delle \textit{junctional
  184. adhesion molecules}, (JAM).
  185. Queste proteine di membrana si legano alla proteina \textit{Zona occludens 1}, ZO-1 che, come mostrato da
  186. recenti studi \cite{??}, potrebbe modulare la formazione
  187. delle giunzioni e occuparsi della trasduzione di segnali
  188. meccanici.
  189. Inoltre vi sono evidenze sul ruolo di una terza proteina,
  190. la \textit{cingulina}, nel modulare l'interazione di ZO-1
  191. con il citoscheletro di actina. Un'ipotesi è che il
  192. legame cingulina-ZO-1 possa indurre delle modifiche
  193. conformazionali in ZO-1 tali da consentire un legame
  194. diretto con in filamenti di actina.
  195. Anche in questo caso, per comprendere il ruolo della cingulina
  196. nella trasduzione dei segnali meccanici, sembra promettente
  197. utilizzare una tecnica che consenta, durante l'osservazione
  198. dell'interazione di due proteine sottoposte a stress
  199. meccanici, di osservare l'eventuale attaccamento al complesso
  200. di una terza proteina. Ad esempio sarebbe possibile ipotizzare
  201. un esperimento in cui allo studio dell'effetto delle sollecitazioni
  202. meccaniche sul legame actina-ZO-1 viene aggiunta l'osservazione
  203. dell'attività della cingulina attraverso microscopia di fluorescenza.
  204. \section{Manipolazione ottica di molecole biologiche}
  205. \label{sec:ot}
  206. Le pinzette ottiche (o \textit{optical tweezers}, OT) sono strumenti che sfruttano la \emph{forza di radiazione} esercitata da un fascio laser gaussiano altamente focalizzato su materiali dielettrici, in modo da intrappolare e manipolare oggetti microscopici con una precisione sub-nanometrica.
  207. Questa tecnologia sfrutta il gradiente d'intensità di un fascio
  208. gaussiano focalizzato interagente con particelle dielettriche immerse
  209. in un fluido. L'interazione delle particelle con la radiazione fa si
  210. che queste risentano di una forza di richiamo verso una posizione
  211. di equilibrio in prossimità del fuoco del fascio.
  212. Fin dalla loro ideazione furono subito messe in luci le potenzialità
  213. di questa tecnica nella manipolazione di campioni biologici.
  214. Arthur Ashkin fu, nel 1986, il primo a realizzare sperimentalmente delle pinzette ottiche, riuscendo a intrappolare microsfere sintetiche e batteri\cite{Ashkin:86}. Per questo risultato gli fu conferito il premio Nobel nel 2018, \emph{``per le pinzette ottiche e le loro applicazioni ai sistemi biologici''}.
  215. Grazie alle pinzette ottiche è possibile intrappolare solidi dielettrici
  216. di diversa dimensione e natura.
  217. Per ottenere la capacità di manipolare individualmente singole molecole,
  218. come le proteine non è possibile procedere ad un intrappolamento diretto.
  219. Si rende necessario quindi sviluppare protocolli per funzionalizzare la
  220. superficie di sfere dielettriche e legarci le molecole che intendiamo
  221. studiare.
  222. Tipicamente esperimenti di questo tipo vengono realizzati utilizzando
  223. sfere dielettriche di dimensioni micrometriche funzionalizzate legando
  224. covalentemente molecole di \textit{streptavidina} alla loro superificie.
  225. In questo modo è possibile successivamente ottenere il legame delle
  226. microsfere col polimero biologico d'interesse, purché esso sia stato
  227. preventivamente biotilinato. Si sfrutta in questo modo il legame
  228. streptavidina-biotina, estremamente stabile e praticamente irreversibile.
  229. Per descrivere quantitativamente il funzionamento delle pinzette
  230. ottiche consideriamo in generale l'effetto dell'interazione tra
  231. una microsfera dielettrica, immersa in una soluzione liquida, e
  232. la radiazione elettromagnetica prodotta da un fascio laser gaussiano
  233. focalizzato.
  234. In generale la forza a cui è soggetta la microsfera interagente
  235. col campo elettromagnetico può essere scomposta in due contributi:
  236. \begin{itemize}
  237. \item La \textbf{forza di \textit{scattering}} o pressione di radiazione, sempre orientata nella direzione di propagazione
  238. della radiazione e proporzionale alla sua intesità.
  239. \item La \textbf{forza di dipolo} o gradiente, proporzionale
  240. al gradiente d'intensità della radiazione elettromagnetico.
  241. \end{itemize}
  242. L'origine di questi due contributi e la dipenza dalle caratteristiche
  243. della microsfera e del liquido utilizzati possono essere derivate
  244. analiticamente dalle equazioni di Maxwell nei limiti del regime
  245. di Rayleigh, ovvero quando le dimensioni della sfera sono molto
  246. inferiori alla lunghezza d'onda della radiazione utilizzata.
  247. In questo limite possiamo considerare il materiale interagente con la
  248. radiazione come un dipolo elettrico puntiforme, associato ad una
  249. polarizzabilità $\alpha$. Il vettore di polarizzazione nel dipolo puntiforme sarà quindi $\vec{p} = \alpha \vec{E}$.
  250. La pressione di radiazione sarà quindi proporzionale all'impulso
  251. dei fotoni retrodiffusi per \textit{scattering} Rayleigh.
  252. Nel caso di una microsfera di raggio $a$, indice di rifrazione $n$,
  253. immersa in un fluido con indice di rifrazione $m$, la forza di
  254. \textit{scattering} può essere espressa\cite{HARADA1996529} come:
  255. \begin{equation}
  256. \vec{F}_r = \hat{k} \frac{8 \pi n k^4 a^6}{3c}
  257. \left(
  258. \frac{(n/m)^2 - 1}{(n/m)^2 + 2}
  259. \right)^2
  260. \end{equation}
  261. L'espressione della forza gradiente può essere ottenuta dall'interazione
  262. lorentziana tra la radiazione e il dipolo puntiforme:
  263. L
  264. $$ \vec{F}_g =
  265. \left( \vec{p} \cdot \vec{\nabla} \right) \vec{E}
  266. + \frac{d\vec{p}}{dt} \times \vec{B}
  267. $$
  268. Ovvero, una volta sostituito il vettore di polarizzazione:
  269. $$ \vec{F}_g = \alpha
  270. \left[
  271. \left( \vec{E} \cdot \vec{\nabla} \right) \vec{E}
  272. + \frac{d\vec{E}}{dt} \times \vec{B}
  273. \right]
  274. $$
  275. E infine, tenendo conto delle \emph{equazioni di Maxwell} e dell'algebra dei vettori:
  276. \begin{equation}
  277. \label{dipole_force}
  278. \vec{F_g}
  279. = \alpha
  280. \left[
  281. \frac{1}{2}\nabla E^2
  282. + \frac{d}{dt}\left(\vec{E} \times \vec{B}\right)
  283. \right]
  284. \end{equation}
  285. Questa ultima forma (equazione \ref{dipole_force}) ci permette di mettere in evidenza il termine $\frac{d}{dt}(\vec{E} \times \vec{B})$, ovvero la derivata temporale di una quantità oscillante molto rapidamente (\SI{> 1e14}{\Hz}), che
  286. può tranquillamente essere considerata costante se confrontata con in tempi
  287. tipici dell'evoluzione meccanica del sistema. Il secondo termine può quindi
  288. essere trascurato e, sostituendo ad $\alpha$ l'espressione per la polarizzabilità
  289. della microsfera otteniamo:
  290. \begin{equation}
  291. \vec{F}_g =
  292. \frac{2\pi n a^3}{c}
  293. \left(
  294. \frac{(n/m)^2 - 1}{(n/m)^2 + 2}
  295. \right)
  296. \nabla I(\vec{r})
  297. \end{equation}
  298. Il risultato netto dei due contributi è che la microsfera tendera ad occupare una
  299. posizione di equilibrio nel punto in cui i due contributi si cancellano e, se
  300. perturbata, risentirà di una forza di richiamo verso la posizione di equilibrio.
  301. Una risultato qualitativamente identico è dimostrabile nel limite dell'ottica
  302. geometrica, quando la particella è al contrario di dimensioni molto maggiori
  303. alla lunghezza d'onda intermedia.
  304. Il caso intermedio richiede l'uso della più complessa teoria Lorenz-Mie e spesso
  305. il ricorso a soluzioni numeriche, ma l'idea qualitativa alla base
  306. dell'intrappolamento resta valida.
  307. Nel caso generale i requisiti per un intrappolamento efficace sono quelli di avere
  308. una forza di gradiente maggiore di quella di scattering e una energia cinetica
  309. delle particelle intrappolate sufficientemente bassa (quindi un fluido sufficientemente viscoso).
  310. Per le nostre applicazioni è sufficiente considerare una forza di richiamo del tipo
  311. \begin{equation}
  312. \vec{F} = -k(\vec{x}-\vec{x}_{eq})
  313. \end{equation}
  314. Il valore di $k$ per una certa trappola ottica, come vedremo, può essere
  315. determinato attraverso un'apposita procedura di calibrazione che sfrutta
  316. la diffusione della microsfera all'interno della trappola.
  317. \section{Spettroscopia force-clamp}
  318. \section{\textit{Imaging} di singola molecola}