|
%%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%%
|
|
|
|
\chapter{Introduzione}
|
|
|
|
|
|
Gli stimoli meccanici rivestono nell'ambito dei sistemi biologici un
|
|
ruolo importante nel determinare il corretto funzionamento di cellule,
|
|
tessuti e organismi complessi.
|
|
|
|
Mentre tradizionalmente la biologia si è occupata di studiare come
|
|
processi cellulari e intercellulari fossero regolati dalle reazioni
|
|
biochimiche e dalla genetica, il ruolo degli stimoli meccanici è stato a
|
|
lungo ritenuto marginale nella descrizione di questi processi.
|
|
|
|
Lo sviluppo di tecniche sempre più avanzate e precise per la
|
|
visualizzazione e la manipolazione di molecole all'interno di campioni
|
|
biologici ha iniziato a mutare questa concezione: oggi possiamo
|
|
indagare nel dettaglio il funzionamento dei motori molecolari
|
|
all'interno delle nostre cellule o misurare come variazioni nella
|
|
tensione applicata a un polimero possano indurre una riorganizzazione
|
|
strutturale nello stesso e cambiarne le proprietà biochimiche.
|
|
|
|
Per molti processi biologici il ruolo della forza è fondamentale,
|
|
ad esempio nei complessi proteici che legano tra di loro le cellule
|
|
in un tessuto, le \emph{giunzioni cellulari}.
|
|
Queste si comportano come complesse macchine in grado di elaborare
|
|
stimoli di tipo biochimico e meccanico, comunicando e interferendo
|
|
con le funzioni del resto della cellula.
|
|
Esistono diversi tipi di giunzioni cellulari, responsabili di
|
|
specifiche funzioni e caratterizzate dalla reciproca interazione di
|
|
diversi tipi di proteine. La dinamica della loro interazione viene
|
|
modificata e modulata dalle sollecitazioni meccaniche esterne,
|
|
permettendo alle giunzioni di comportarsi come \emph{trasduttori}
|
|
di segnali meccanici.
|
|
|
|
Diversi metodi sono stati proposti e realizzati sperimentalmente
|
|
per osservare l'attività di meccano-trasduzione nei sistemi
|
|
biologici \cite{Muhamed2017,Arbore2019}, sfruttando tecniche sia \textit{in vivo} che
|
|
\textit{in vitro}, osservando sia gli effetti macroscopici che
|
|
le interazioni tra singole molecole.
|
|
Nonostante ciò, per quanto riguarda le giunzioni cellulari, siamo
|
|
ancora lontani da una descrizione soddisfacente, sia da un punto
|
|
di vista qualitativo che quantitativo, dei meccanismi e delle
|
|
interazioni coinvolte.
|
|
|
|
Raggiungere una migliore comprensione riguardo al ruolo e al
|
|
funzionamento della meccano-trasduzione nelle giunzioni cellulari
|
|
rappresenta un terreno fertile e un forte stimolo per la ricerca
|
|
di base interdisciplinare, spingendo scienziati con formazioni diverse
|
|
ad unire le loro competenze e sviluppare tecniche complementari, in
|
|
modo da acquisire una visione sempre più globale su fenomeni
|
|
estremamente complessi, che coinvolgono simultaneamente processi
|
|
meccanici, termodinamici e biochimici.
|
|
|
|
Lo scopo di questo lavoro di tesi è, sviluppare, in gran parte
|
|
\textit{ex-novo}, un apparato sperimentale per lo studio della
|
|
meccano-trasduzione in contesti complessi come quello delle giunzioni
|
|
cellulari, basato sulla manipolazione ottica di due proteine
|
|
interagenti e il \textit{tracking} simultaneo, tramite microscopia di
|
|
fluorescenza, di altre singole biomolecole nei pressi del sito di
|
|
interazione.
|
|
|
|
La manipolazione tramite pinzette ottiche rappresenta infatti una
|
|
strada molto promettente per lo studio, anche quantitativo, di
|
|
effetti meccano-biologici, grazie alla possibilità di ottenere una
|
|
precisione di posizionamento nanometrica e di applicare alle molecole
|
|
un ampio intervallo di forze nell'ordine dei piconewton e dei
|
|
femtonewton.
|
|
|
|
Le pinzette ottiche permettono di sondare il comportamento di
|
|
complessi proteici sottoponendo due molecole interagenti a stress
|
|
meccanici controllati e andando a osservare come la dinamica delle
|
|
interazioni dipenda dalle forze esterne.
|
|
|
|
Questo tipo di esperimenti si riconduce alle
|
|
\emph{spettroscopie di forza},
|
|
che in generale vengono realizzate utilizzando diverse tecniche, come
|
|
la microscopia a forza atomica, le onde acustiche o le pinzette
|
|
ottiche.
|
|
I brevissimi tempi di risposta ottenibili utilizzando queste ultime,
|
|
inferiori al millisecondo, hanno fatto si che le pinzette ottiche
|
|
fossero applicate con successo allo studio di sistemi interagenti con
|
|
affinità molto deboli o rapide modifiche conformazionali, come i
|
|
motori molecolari \cite{Capitanio2012}.
|
|
|
|
L'apparato sperimentale descritto in questo lavoro consiste
|
|
sostanzialmente in una ricostruzione di quello utilizzato in
|
|
\cite{Capitanio2012}
|
|
per lo studio dei motori molecolari per quanto riguarda la componente
|
|
di spettroscopia di forza, integrato con un sistema di microscopia di
|
|
fluorescenza che consenta di osservare simultaneamente la dinamica di
|
|
singole molecole interagenti con le proteine intrappolate.
|
|
|
|
Infatti, fino a ora il principale limite di questi esperimenti è
|
|
stato quello di produrre informazioni dinamiche
|
|
esclusivamente sui due componenti interagenti selezionati per la
|
|
spettroscopia di forza, trascurando ogni altra possibile interazione.
|
|
Se in diversi scenari questo è più che sufficiente, in alcuni
|
|
sistemi biologici, questo approccio mostra evidenti limiti nello
|
|
studio di una complessa rete di interazioni, come quella delle
|
|
giunzioni cellulari.
|
|
|
|
Un apparato con queste caratteristiche dovrebbe consentire,
|
|
durante un esperimento di spettroscopia di forza, di registrare
|
|
simultaneamente sia la risposta meccanica delle due proteine
|
|
immobilizzate, sia l'eventuale interazione con altri fattori
|
|
opportunamente marcati presenti nella soluzione usata per
|
|
l'esperimento.
|
|
|
|
L'ostacolo principale al raggiungimento di questo risultato è dato
|
|
dalla difficoltà di visualizzare, tramite microscopia ottica,
|
|
l'attività di una singola molecola fluorescente sopra un fondo di
|
|
fluorofori liberi in soluzione.
|
|
|
|
Una soluzione tipicamente adottata prevede l'uso di schemi di
|
|
illuminazione come la riflessione interna totale
|
|
(TIRF, \textit{Total Internal Reflection Fluorescence microscopy})
|
|
o i fogli di luce inclinati
|
|
(HILO, \textit{Highly Inclined and Laminated Optical sheet
|
|
microscopy}),
|
|
in modo da ridurre il volume di campione eccitato e quindi l'emissione
|
|
di fluorescenza di fondo.
|
|
|
|
Questi schemi di illuminazione però richiedono requisiti molto
|
|
stringenti.
|
|
Ad esempio per poter utilizzare la TIRF, come approfondito in sezione
|
|
\ref{sec:fluo} è necessario che il volume osservato sia nelle
|
|
immediate vicinanze (poche centinaia di nanometri) della superficie del vetrino
|
|
coprioggetti usato per la preparazione del campione,
|
|
condizione che è impossibile realizzare negli esperimenti di
|
|
spettroscopia di forza, dove le proteine vengono funzionalizzate su
|
|
sfere di silice di dimensioni micrometriche.
|
|
In questo caso infatti il volume di campione
|
|
dove si trovano le proteine interagenti è posto a una quota significativa
|
|
rispetto alla zona illuminata nelle vicinanze del vetrino coprioggetti.
|
|
|
|
Scopo dell'apparato sperimentale sarà anche studiare la possibilità di
|
|
superare questo limite usando la sfera dielettrica come risuonatore
|
|
o focheggiatore ottico, e quindi come strumento in grado di trasferire la radiazione
|
|
di eccitazione dall'immediata prossimità del vetrino coprioggetti ai
|
|
fluorofori presenti in prossimità del sito di interazione.
|
|
In questo modo il segnale proveniente da molecole fuori fuoco,
|
|
lontane dalla microsfera, sarebbe efficacemente soppresso.
|
|
|
|
Nelle prossime sezioni è possibile trovare una trattazione più
|
|
approfondita degli argomenti introdotti, in particolare nella sezione
|
|
\ref{sec:giunzioni} vengono introdotte due importanti tipologie di
|
|
giunzioni cellulari particolarmente interessanti per studio con un
|
|
sistema combinato come quello qui descritto.\\
|
|
Nella sezione \ref{sec:ot} vengono trattate in maniera più
|
|
approfondita le pinzette ottiche e la loro applicazione agli
|
|
esperimenti di spettroscopia di forza.\\
|
|
Nella sezione \ref{sec:fluo} vengono introdotti i principali limiti
|
|
della microscopia di fluorescenza e le soluzioni proposte per il loro
|
|
superamento.
|
|
|
|
Nel capitolo \ref{cap:setup} vengono descritte nel dettaglio le
|
|
caratteristiche e le proprietà specifiche dell'apparato sperimentale
|
|
realizzato.
|
|
|
|
Nel capitolo \ref{cap:methods} vengono descritti i metodi utilizzati
|
|
per validare il funzionamento dell'apparato sperimentale,
|
|
quantificarne i parametri di funzionamento e realizzare misure su
|
|
campioni biologici.
|
|
|
|
Nel capitolo \ref{cap:results} sono analizzati i dati prodotti durante
|
|
le operazioni di validazione dell'apparato sperimentale e delle
|
|
procedure di misura per valutare le prestazioni ottenibili e la loro
|
|
adeguatezza agli esperimenti ipotizzati.
|
|
|
|
|
|
% Introduction on the importance of mechanotransduction
|
|
|
|
|
|
|
|
%%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%%
|
|
|
|
|
|
|
|
% between
|
|
|
|
\section{Giunzioni cellulari}
|
|
\label{sec:giunzioni}
|
|
|
|
Le giunzioni cellulari svolgono un ruolo fondamentale per l'esistenza
|
|
stessa degli organismi multicellulari.
|
|
Esse sono infatti responsabili della capacità delle cellule di
|
|
connettersi l'una con l'altra e di organizzarsi per formare tessuti e
|
|
organi con funzioni specifiche.
|
|
Le funzioni delle giunzioni cellulari vanno ben oltre quelle di una
|
|
passiva struttura di raccordo: esse sono responsabili, ad esempio,
|
|
di veicolare informazioni e sostanze tra una cellula e l'altra,
|
|
guidare la loro proliferazione o migrazione, mantenere la stabilità
|
|
dei tessuti o avviarne la riparazione quando necessario.
|
|
|
|
\begin{figure}[ht]
|
|
\centering
|
|
\includegraphics[width=0.5\linewidth]{images/adjunc.pdf}
|
|
\caption{Sequenza di cellule connesse da \emph{giunzioni aderenti}
|
|
(sopra) e dettaglio di una giunzione aderente, con indicazione
|
|
delle principali proteine coinvolte (sotto)}
|
|
\label{fig:ad_jun}
|
|
\end{figure}
|
|
|
|
Le giunzioni cellulari possono connettersi direttamente a strutture
|
|
interne della cellula (come il citoscheletro) e si formano
|
|
dall'auto-assemblamento di un grande numero di proteine differenti.
|
|
Per loro natura attraversano la membrana cellulare andando a formare
|
|
legami con strutture analoghe presenti in cellule adiacenti o con
|
|
strutture intermedie di supporto, come la matrice extra-cellulare.
|
|
|
|
Esistono diversi tipi di giunzioni che svolgono funzioni specifiche.
|
|
Un tipo di giunzione molto comune nei tessuti epiteliali e
|
|
endoteliali è la \emph{giunzione aderente}, rappresentata in modo
|
|
schematico in figura \ref{fig:ad_jun}.
|
|
|
|
Nelle giunzioni aderenti la proteina che direttamente ancora il
|
|
complesso alla membrana plasmatica è la \emph{caderina}.
|
|
Questa è una proteina trans-membrana costituita da un dominio di coda
|
|
citoplasmatico e un dominio di testa esterno alla membrana cellulare.
|
|
Il dominio extra-membrana è in grado di dimerizzare con domini
|
|
analoghi presenti in cellule adiacenti, formando la giunzione.
|
|
Il dominio intra-membrana permette di stabilire un collegamento
|
|
diretto tra la giunzione cellulare e il citoscheletro di actina,
|
|
grazie al legame con una classe di proteine, le \emph{catenine},
|
|
in grado di legarsi sia con la coda della caderina che con i filamenti
|
|
di actina del citoscheletro.
|
|
|
|
Oltre a questa connessione diretta esistono altre proteine che
|
|
mantengono una connessione indiretta, legando ad esempio le catenine
|
|
con il citoscheletro. È stato scoperto
|
|
\cite{Goldmann2016,Dumbauld2014} che le proteine
|
|
\emph{vinculina} e \emph{$\alpha$-actinina} svolgono questa attività.
|
|
|
|
Sebbene la funzione di questi collegamenti indiretti non sia stata
|
|
ancora del tutto compresa, è stato dimostrato che la presenza
|
|
delle proteine responsabili di tali collegamenti è fondamentale per il corretto sviluppo
|
|
dei tessuti.
|
|
Esperimenti su colture cellulari in cui il gene che codifica l'espressione
|
|
della vinculina è stato rimosso suggeriscono come, oltre ad una
|
|
riduzione generale dell'adesione tra cellule, si perdano alcune funzioni
|
|
di regolazione
|
|
e modulazione dell'attività delle giunzioni.
|
|
|
|
La vinculina, quindi, così come altre proteine secondarie, potrebbe
|
|
avere un ruolo nel modulare i meccanismi di adesione e svolgere un
|
|
ruolo nei processi di meccano-trasduzione.
|
|
|
|
La possibilità di realizzare esperimenti di spettroscopia di forza in
|
|
cui è possibile tenere traccia dell'attività di una o più proteine
|
|
secondarie apre la strada verso una maggiore comprensione del loro
|
|
ruolo.
|
|
|
|
Lo stato attuale delle conoscenze sulla rete di interazioni che
|
|
governa e regola il funzionamento delle giunzioni aderenti è riportato
|
|
schematicamente in appendice \ref{app:junctions}, sotto forma di
|
|
diagramma delle vie di segnalazione.
|
|
|
|
\begin{figure}[ht]
|
|
\centering
|
|
\includegraphics{images/aj.pdf}
|
|
\caption{Ruolo di \textbf{caderina} e catenine nelle
|
|
\textit{giunzioni aderenti}}
|
|
\label{fig:aj}
|
|
\end{figure}
|
|
|
|
\vspace{1em}
|
|
Un'altra classe di giunzioni cellulari è rappresentata dalle
|
|
giunzioni occludenti (\textit{tight junction}), la cui caratteristica
|
|
principale è quella di sigillare lo spazio intercellulare, rendendolo
|
|
impermeabile e impedendo a molecole e ioni di attraversare un
|
|
tessuto.
|
|
L'organizzazione spaziale delle giunzioni occludenti consente inoltre
|
|
la creazione di canali selettivamente permeabili per il trasporto
|
|
di specifiche molecole, tuttavia ancora non sono chiari i meccanismi
|
|
che modulano e regolano il loro funzionamento.
|
|
Come nel caso delle giunzioni aderenti questo emerge dall'interazione
|
|
tra un certo numero di proteine interagenti.
|
|
|
|
\begin{figure}[ht]
|
|
\centering
|
|
\includegraphics{images/tj.pdf}
|
|
\caption{Ruolo di \textbf{ZO-1} nelle \emph{giunzioni occludenti}}
|
|
\label{fig:tj}
|
|
\end{figure}
|
|
|
|
Diverse proteine attraversano la membrana e dimerizzano con le loro
|
|
omologhe appartenenti alla cellula adiacente, tra le quali
|
|
\emph{claudina}, \emph{occludina} e diverse proteine appartenenti
|
|
alla classe delle \textit{junctional adhesion molecules} (JAM).
|
|
Queste proteine di membrana si legano alla proteina \textit{Zona
|
|
occludens 1}, ZO-1 che, come mostrato da recenti studi
|
|
\cite{Vasileva2020},
|
|
potrebbe modulare la formazione delle giunzioni e occuparsi della
|
|
trasduzione di segnali meccanici.
|
|
Inoltre vi sono evidenze sul ruolo di una terza proteina, la
|
|
\textit{cingulina}, nel modulare l'interazione di ZO-1 con il
|
|
citoscheletro di actina. Un'ipotesi è che il legame cingulina-ZO-1
|
|
possa indurre delle modifiche conformazionali in ZO-1 tali da
|
|
consentire un legame diretto con i filamenti di actina.
|
|
Anche in questo caso, per comprendere il ruolo della cingulina nella
|
|
trasduzione dei segnali meccanici, sembra promettente utilizzare una
|
|
tecnica che consenta, durante l'osservazione dell'interazione di due
|
|
proteine sottoposte a stress meccanici, di osservare l'eventuale
|
|
attaccamento al complesso di una terza proteina. Ad esempio sarebbe
|
|
possibile ipotizzare un esperimento in cui allo studio dell'effetto
|
|
delle sollecitazioni meccaniche sul legame actina-ZO-1 viene aggiunta
|
|
l'osservazione dell'attività della cingulina attraverso microscopia
|
|
di fluorescenza.
|
|
|
|
|
|
|
|
\section{Manipolazione ottica di molecole biologiche}
|
|
\label{sec:ot}
|
|
|
|
Le pinzette ottiche (o \textit{optical tweezer}, OT) sono strumenti
|
|
che sfruttano la \emph{forza di radiazione} esercitata da un fascio
|
|
laser gaussiano altamente focalizzato su materiali dielettrici, in
|
|
modo da intrappolare e manipolare oggetti microscopici con una
|
|
precisione sub-nanometrica.
|
|
|
|
Questa tecnologia sfrutta il gradiente d'intensità di un fascio
|
|
gaussiano focalizzato interagente con particelle dielettriche immerse
|
|
in un fluido. L'interazione delle particelle con la radiazione fa si
|
|
che queste risentano di una forza di richiamo verso una posizione
|
|
di equilibrio in prossimità del fuoco del fascio.
|
|
|
|
Fin dalla loro ideazione vennero subito messe in luce le potenzialità
|
|
di questa tecnica quando applicata alla manipolazione di campioni
|
|
biologici.
|
|
|
|
Arthur Ashkin fu, nel 1986, il primo a realizzare sperimentalmente
|
|
delle pinzette ottiche, riuscendo a intrappolare microsfere sintetiche
|
|
e batteri\cite{Ashkin:86}. Per questo risultato gli fu conferito il
|
|
premio Nobel nel 2018, \emph{``per le pinzette ottiche e le loro
|
|
applicazioni ai sistemi biologici''}.
|
|
|
|
Grazie alle pinzette ottiche è possibile intrappolare solidi
|
|
dielettrici di diversa dimensione e natura.
|
|
Per ottenere la capacità di manipolare individualmente singole
|
|
molecole, come le proteine in una soluzione acquosa a temperatura ambiente,
|
|
non è possibile procedere ad un intrappolamento diretto.
|
|
|
|
Si rende necessario quindi sviluppare protocolli per funzionalizzare
|
|
la superficie di sfere dielettriche e legarci le molecole che
|
|
intendiamo studiare.
|
|
|
|
Tipicamente esperimenti di questo tipo vengono realizzati utilizzando
|
|
sfere dielettriche di dimensioni micrometriche funzionalizzate legando
|
|
covalentemente le proteine o le molecole biologiche di interesse.
|
|
In alternativa, vengono legate sulla superficie delle microsfere molecole di
|
|
\textit{streptavidina}.
|
|
In questo modo è possibile successivamente ottenere il legame delle
|
|
microsfere col polimero biologico o la proteina d'interesse, purché essi siano stati
|
|
preventivamente biotilinati.
|
|
Si sfrutta in questo modo il legame streptavidina-biotina, estremamente stabile nei tempi
|
|
tipici di un esperimento di singola molecola (vedi figura \ref{fig:biotin-streptavidin}).
|
|
|
|
\begin{figure}[ht]
|
|
\centering
|
|
\includegraphics[width=0.5\linewidth]{images/biotin-streptavidin.pdf}
|
|
\caption{Manipolazione di una proteina bersaglio utilizzando una
|
|
microsfera intrappolata e il legame biotina-streptavidina.}
|
|
\label{fig:biotin-streptavidin}
|
|
\end{figure}
|
|
|
|
Per descrivere quantitativamente il funzionamento delle pinzette
|
|
ottiche consideriamo in generale l'effetto dell'interazione tra
|
|
una microsfera dielettrica, immersa in una soluzione liquida, e
|
|
la radiazione elettromagnetica prodotta da un fascio laser gaussiano
|
|
focalizzato.
|
|
|
|
In generale la forza a cui è soggetta la microsfera interagente
|
|
col campo elettromagnetico può essere scomposta in due contributi:
|
|
|
|
\begin{itemize}
|
|
\item La \textbf{forza di \textit{scattering}} o pressione di
|
|
radiazione, sempre orientata nella direzione di propagazione
|
|
della radiazione e proporzionale alla sua intesità.
|
|
\item La \textbf{forza di gradiente}, proporzionale
|
|
al gradiente d'intensità della radiazione elettromagnetica.
|
|
\end{itemize}
|
|
|
|
L'origine di questi due contributi e la dipendenza dalle caratteristiche
|
|
della microsfera e del liquido utilizzati possono essere derivate
|
|
analiticamente dalle equazioni di Maxwell nei limiti del regime
|
|
di Rayleigh, ovvero quando le dimensioni della sfera sono molto
|
|
inferiori alla lunghezza d'onda della radiazione utilizzata.
|
|
|
|
In questo limite possiamo considerare il materiale interagente con la
|
|
radiazione come un dipolo elettrico puntiforme, associato ad una
|
|
polarizzabilità $\alpha$. Il vettore di polarizzazione nel dipolo
|
|
puntiforme sarà quindi $\vec{p} = \alpha \vec{E}$, dove il vettore $\vec{E}$
|
|
è il campo elettrico che induce la polarizzazione.
|
|
|
|
La pressione di radiazione sarà quindi proporzionale all'impulso
|
|
dei fotoni retrodiffusi per \textit{scattering} Rayleigh.
|
|
Nel caso di una microsfera di raggio $a$, indice di rifrazione $n$,
|
|
investita da un'onda piana di intensità $I_0$, vettore d'onda $\vec{k}$
|
|
e immersa in un fluido con indice di rifrazione $m$, la forza di
|
|
\textit{scattering} può essere espressa\cite{HARADA1996529} come:
|
|
|
|
\begin{equation}
|
|
\vec{F}_r = \hat{k} I_0 \frac{8 \pi n k^4 a^6}{3c}
|
|
\left(
|
|
\frac{(n/m)^2 - 1}{(n/m)^2 + 2}
|
|
\right)^2
|
|
\end{equation}
|
|
|
|
Dove $c$ è la velocità della luce nel vuoto.
|
|
|
|
L'espressione della forza di gradiente può essere ottenuta
|
|
dall'interazione lorentziana tra la radiazione e il dipolo puntiforme.
|
|
|
|
Infatti, se $\vec{p}$ è il vettore di polarizzazione e $\vec{E}, \vec{B}$ sono
|
|
i vettori dei campi elettrici e magnetici della radiazione, abbiamo:
|
|
|
|
$$ \vec{F}_g =
|
|
\left(
|
|
\vec{p} \cdot \vec{\nabla}
|
|
\right)
|
|
\vec{E}
|
|
+ \frac{d\vec{p}}{dt} \times \vec{B}
|
|
$$
|
|
|
|
Ovvero, una volta sostituito il vettore di polarizzazione:
|
|
|
|
$$ \vec{F}_g =
|
|
\alpha
|
|
\left[
|
|
\left( \vec{E} \cdot \vec{\nabla} \right) \vec{E}
|
|
+ \frac{d\vec{E}}{dt} \times \vec{B}
|
|
\right]
|
|
$$
|
|
|
|
E infine, tenendo conto delle \emph{equazioni di Maxwell} e
|
|
dell'algebra dei vettori, e mediando su un periodo di oscillazione, otteniamo:
|
|
|
|
\begin{equation}
|
|
\label{dipole_force}
|
|
\vec{F_g} =
|
|
\alpha
|
|
\left[
|
|
\frac{1}{2}\nabla E^2
|
|
\right]
|
|
\end{equation}
|
|
|
|
Il termine dipendente dal campo magnetico è la derivata di una quantità che cambia
|
|
rapidamente (\SI{> 1e14}{\Hz}), che
|
|
può tranquillamente essere considerata nulla se confrontata con in
|
|
tempi tipici dell'evoluzione meccanica del sistema, e può quindi essere trascurato.
|
|
Sostituendo ad
|
|
$\alpha$ l'espressione per la polarizzabilità della microsfera
|
|
otteniamo:
|
|
|
|
\begin{equation}
|
|
\vec{F}_g =
|
|
\frac{2\pi a^3}{c}
|
|
\left(
|
|
\frac{(n/m)^2 - 1}{(n/m)^2 + 2}
|
|
\right)
|
|
\nabla I_0(\vec{r})
|
|
\end{equation}
|
|
|
|
Il risultato netto dei due contributi è che la microsfera tenderà ad
|
|
occupare una posizione di equilibrio nel punto in cui i due contributi
|
|
si cancellano e, se perturbata, risentirà di una forza di richiamo
|
|
verso la posizione di equilibrio.
|
|
|
|
Un risultato qualitativamente identico è dimostrabile nel limite
|
|
dell'ottica geometrica, quando la particella è al contrario di
|
|
dimensioni molto maggiori alla lunghezza d'onda intermedia.
|
|
|
|
Il caso intermedio richiede l'uso della più complessa teoria
|
|
Lorenz-Mie e il ricorso a soluzioni numeriche, ma l'idea
|
|
qualitativa alla base dell'intrappolamento resta valida.
|
|
|
|
Nel caso generale i requisiti per un intrappolamento efficace sono
|
|
quelli di avere una forza di gradiente maggiore di quella di
|
|
scattering e una energia cinetica delle particelle intrappolate
|
|
sufficientemente bassa (quindi un fluido sufficientemente viscoso).
|
|
|
|
Per le nostre applicazioni è sufficiente considerare, su un piano
|
|
perpendicolare alla direzione di propagazione del fascio, una forza di
|
|
richiamo del tipo:
|
|
|
|
\begin{equation}
|
|
\vec{F}_\perp = -k_{\perp}(\vec{x}_{\perp}-\vec{x}_{\perp,eq})
|
|
\end{equation}
|
|
|
|
Dove $\vec{x}_{\perp}$ è la proiezione della posizione della particella
|
|
intrappolata sul piano considerato, $\vec{x}_{\perp.eq}$ è la posizione di equilibrio,
|
|
corrispondente al centro della fascio in assenza di forze esterne, e $k_{\perp}$ è
|
|
la costante elastica relativa alla forza di richiamo sul piano perpendicolare.
|
|
|
|
Lungo la direzione assiale la particella sarà analogamente confinata ma con un costante
|
|
elastica minore e variabile con la posizione. In particolare il suo valore non sarà
|
|
simmetrico rispetto al fuoco del fascio quando si considera il contributo aggiuntivo
|
|
della forza di scattering.
|
|
|
|
\begin{figure}[ht]
|
|
\centering
|
|
\includegraphics[scale=.4]{images/fkx.pdf}
|
|
\caption{Effetto netto della forza di radiazione}
|
|
\label{fig:fkx}
|
|
\end{figure}
|
|
|
|
Il valore di $k$ per una certa trappola ottica, come vedremo, può
|
|
essere determinato attraverso un'apposita procedura di calibrazione
|
|
che sfrutta la diffusione della microsfera all'interno della trappola.
|
|
|
|
Inoltre è necessario considerare l'effetto degli urti con le molecole
|
|
della soluzione liquida in cui la sfera è immersa, che hanno i due
|
|
seguenti effetti:
|
|
\begin{itemize}
|
|
\item La presenza di un attrito viscoso, proporzionale alla
|
|
velocità relativa della sfera rispetto al fluido
|
|
\item La fluttuazione della sfera rispetto alla posizione di
|
|
equilibrio (moto browniano).
|
|
\end{itemize}
|
|
|
|
Riuscendo a misurare le fluttuazioni della posizione della sfera intrappolata,
|
|
con un sistema come quello descritto in sezione \ref{sec:tweezer}, è possibile
|
|
sfruttare la termodinamica statistica per mettere in relazione
|
|
lo spettro di queste
|
|
con il parametro $k$ della forza elastica di richiamo
|
|
(vedi sezione \ref{sec:calibration}).
|
|
In questo modo, una volta determinato $k$, è possibile mettere
|
|
in relazione il valore delle forze esterne agenti sulla sfera con il
|
|
suo spostamento dalla posizione di riposo.
|
|
|
|
|
|
|
|
\section{Microscopia di fluorescenza di singola molecola}
|
|
\label{sec:fluo}
|
|
|
|
% come evitare ripetizione "singola(e) molecola(e)"
|
|
Le tecniche di microscopia di fluorescenza di singola molecola consentono
|
|
di sondare la posizione e i movimenti di singole molecole con risoluzioni
|
|
spaziali e temporali che dipendono dalla tipologia di cromofori utilizzati.
|
|
Tipicamente, usando cromofori standard, si riesce ad arrivare a risoluzioni
|
|
spaziali di decine di nanometri con un tempo di integrazione di circa \SI{10}{\ms}.
|
|
Per avvicinarsi a una risoluzione spaziale di \SI{1}{\nm} è necessario aumentare
|
|
il tempo di integrazione fino ad almeno \SI{1}{\s}.
|
|
|
|
In ambito biologico le molecole che vengono osservate con queste
|
|
tecniche sono di varia natura, ad esempio proteine o acidi
|
|
nucleici. Anche se alcune di queste molecole possono avere una
|
|
debole fluorescenza intrinseca, si fa quasi sempre ricorso alla
|
|
marcatura con fluorofori, cioè molecole con caratteristiche di
|
|
fluorescenza note e elevata resa quantica. In questo modo è
|
|
possibile ottenere livelli di segnale maggiori e soprattutto
|
|
un'elevata specificità nel rendere rilevabili solo le molecole
|
|
che presentano caratteristiche di interesse.
|
|
Queste due proprietà sono, come vedremo, molto importanti per riuscire
|
|
a rivelare singole molecole biologiche e per
|
|
raggiungere una buona precisione di localizzazione.
|
|
|
|
Le tecniche di microscopia di fluorescenza sono molto flessibili
|
|
e spesso non distruttive: consentono di osservare processi biologici
|
|
in tempo reale in celle di reazione, colture cellulari e organismi
|
|
viventi.
|
|
|
|
Un esperimento di microscopia di fluorescenza generalmente
|
|
comprende due fasi principali:
|
|
\begin{itemize}
|
|
\item La marcatura delle molecole di interesse, ovvero
|
|
l'attuazione di un protocollo per legare specificamente il
|
|
fluoroforo scelto alle molecole che si intende visualizzare.
|
|
\item La produzione delle immagini, mediante l'illuminazione del
|
|
campione alla lunghezza d'onda di eccitazione del fluoroforo
|
|
e la raccolta della radiazione emessa alla lunghezza d'onda
|
|
di emissione.
|
|
\end{itemize}
|
|
|
|
Per quanto riguarda la marcatura (o \textit{labeling}) delle
|
|
molecole esistono svariate strategie e tipologie di fluorofori
|
|
utilizzabili. Il fluoroforo può essere legato covalentemente alla
|
|
molecola di interesse attraverso apposite reazioni chimiche,
|
|
può essere incorporato in un anticorpo, ovvero una proteina
|
|
in grado di riconoscere siti specifici di altre molecole e legarvisi
|
|
non covalentemente, oppure tramite l'ingegneria genetica è possibile
|
|
fornire a delle cellule le istruzioni per sintetizzare e assemblare
|
|
proteine contenenti regioni fluorescenti.
|
|
I fluorofori utilizzati possono essere piccole molecole organiche,
|
|
nanoparticelle realizzate in materiali semiconduttori (come i punti
|
|
quantici) oppure sequenze di amminoacidi.
|
|
In commercio si trovano numerosi fluorofori operanti in molteplici
|
|
regioni dello spettro visibile e con protocolli di marcatura
|
|
standardizzati. La scelta del fluoroforo e del protocollo di marcatura
|
|
devono tener conto di numerosi fattori, tra i quali: le condizioni
|
|
dell'esperimento (in vivo o in vitro), le possibili interferenze col
|
|
comportamento del sistema studiato, la compatibilità con le sostanze
|
|
chimiche usate in soluzione, la stabilità del fluoroforo stesso e il
|
|
suo tempo di vita.
|
|
|
|
Per la produzione delle immagini esistono due macro-categorie di
|
|
tecniche: le microscopie a campo largo (o \textit{wide-field}) e
|
|
le microscopie a scansione puntiforme.
|
|
Nel primo caso l'intero volume osservato viene illuminato
|
|
uniformemente e la radiazione emessa per fluorescenza viene raccolta
|
|
e ingrandita da un opportuno sistema ottico che ricostruisce
|
|
l'immagine sulla matrice di un sensore CMOS o CCD.
|
|
Nel secondo caso l'area di interesse viene suddivisa in un reticolo
|
|
tridimensionale di punti e ogni punto viene acquisito sequenzialmente,
|
|
illuminando il più piccolo volume circostante possibile e raccogliendo
|
|
tutta la radiazione emessa proveniente dal medesimo volume in un
|
|
unico punto, coincidente con l'apertura di un fotodiodo o di un
|
|
fotomoltiplicatore.
|
|
|
|
Il principale vantaggio delle tecniche a scansione rispetto a quelle
|
|
a campo largo risiede, solitamente, in una più marcata soppressione del
|
|
rumore di fondo dovuto all'emissione di fluorescenza fuori dal
|
|
piano focale. I microscopi che sfruttano queste tecniche sono infatti
|
|
equipaggiati di opportuni accorgimenti per filtrare sia la radiazione
|
|
di eccitazione che quella raccolta, in modo da selezionare uno strato
|
|
estremamente sottile del volume del campione.
|
|
Le dimensioni del volume selezionato per ogni
|
|
punto acquisito possono avvicinarsi molto al limite di diffrazione,
|
|
in questo modo è possibile visualizzare in maniera estremamente nitida
|
|
strutture con dettagli di dimensioni confrontabili con il limite
|
|
di diffrazione.
|
|
Lo svantaggio principale invece sta nella massima risoluzione
|
|
temporale ottenibile: per acquisire un'immagine è necessario
|
|
muovere il campione (o il fascio di illuminazione) attraverso
|
|
l'intero reticolo e per ogni punto è richiesto un tempo di sosta
|
|
adeguato a raccogliere un numero sufficiente di fotoni.
|
|
La risoluzione temporale di un microscopio a scansione, quindi,
|
|
decresce all'aumentare delle dimensioni dell'area osservata e della
|
|
densità di punti acquisita.
|
|
|
|
La microscopia a campo largo, acquisendo simultaneamente tutto il
|
|
campo visivo in una sola volta, consente di raggiungere risoluzioni
|
|
temporali molto elevate anche per campioni estesi. La velocità
|
|
di acquisizione di un singolo fotogramma è essenzialmente limitata
|
|
dalla sensibilità del sensore usato e dalla velocità di trasferimento
|
|
dei dati.
|
|
Tuttavia, in questo caso, sul sensore si va a sommare all'immagine
|
|
proveniente dai fluorofori nel piano focale quella, fuori fuoco,
|
|
di tutti gli emettitori che si trovano su piani diversi attraversati
|
|
dal fascio.
|
|
In campioni con una elevata densità di fluorofori liberi in soluzione
|
|
questo effetto viene particolarmente accentuato, con un impatto
|
|
negativo sul rapporto segnale/rumore ottenibile e di conseguenza
|
|
sulla possibilità di individuare e localizzare singole molecole.
|
|
|
|
Per ottenere una sensibilità di singola molecola senza sacrificare
|
|
la risoluzione temporale sono state sviluppate tecniche che,
|
|
manipolando il fascio di eccitazione, consentono di ridurre lo
|
|
spessore del volume di campione eccitato, come la microscopia a
|
|
riflessione interna totale
|
|
(TIRF, \textit{Total Internal Reflection Fluorescence microscopy})
|
|
o quella a foglio di luce inclinato
|
|
(HILO, \textit{Highly Inclined and Laminated Optical sheet
|
|
microscopy}).
|
|
Grazie a queste due tecniche è possibile ottenere una sensibilità
|
|
di singola molecola con una risoluzione temporale nell'ordine dei
|
|
millisecondi, rendendo possibile ad esempio il tracciamento
|
|
degli spostamenti di una proteina.
|
|
|
|
\subsection{TIRF}
|
|
|
|
La microscopia di fluorescenza a riflessione interna totale (TIRF)
|
|
permette di ridurre il rumore dovuto alla fluorescenza fuori fuoco
|
|
sfruttando, per l'eccitazione dei fluorofori, un'onda evanescente
|
|
in grado di penetrare solo le prime centinaia di nanometri del
|
|
campione.
|
|
|
|
L'onda evanescente viene ottenuta facendo incidere il fascio
|
|
di eccitazione all'interfaccia di separazione tra il vetrino
|
|
coprioggetti e il campione con un angolo maggiore rispetto
|
|
all'angolo critico $\theta_c$ definito dalla \emph{legge di Snell}.
|
|
Un fascio che incide sulla superficie di separazione tra due mezzi con
|
|
indice di rifrazione $n_i$ e $n_t$, con un angolo rispetto alla normale
|
|
$\theta_i$, verrà rifratto a un angolo $\theta_r$ definito dalla relazione:
|
|
|
|
\begin{multline}
|
|
n_i \sin(\theta_i) = n_t \sin(\theta_t) \\
|
|
\Rightarrow \sin(\theta_t) = \frac{n_i}{n_t} \sin(\theta_i) \\
|
|
\Rightarrow \left\lvert
|
|
\frac{n_i}{n_t} \sin(\theta_i)
|
|
\right\rvert \leq 1 \\
|
|
\Rightarrow \theta_i \leq \arcsin\left(\frac{n_t}{n_i}\right)
|
|
\doteq \theta_c
|
|
\end{multline}
|
|
|
|
Quando un'onda elettromagnetica passa da un mezzo con un indice
|
|
di rifrazione più grande a uno con indice di rifrazione più piccolo,
|
|
e quindi $\theta_c = \arcsin\left(\tfrac{n_t}{n_i}\right)$ è un angolo
|
|
reale, si può avere \emph{riflessione interna totale} se l'angolo
|
|
di incidenza è superiore a $\theta_c$.
|
|
In queste condizioni tutta l'energia dell'onda incidente viene
|
|
riflessa nel primo mezzo e non si ha la formazione di un raggio
|
|
rifratto nel secondo.
|
|
|
|
Per studiare le caratteristiche dell'onda elettromagnetica
|
|
nel secondo mezzo è necessario fare ricorso alle equazioni di
|
|
Maxwell, che impongono condizioni precise sulla continuità
|
|
delle componenti normali e trasverse del campo elettrico attraverso
|
|
l'interfaccia tra due materiali diversi.
|
|
|
|
Un'onda elettromagnetica monocromatica piana con vettore d'onda
|
|
$\vec{k}$ e frequenza angolare $\omega$ sarà descritta dal campo elettrico
|
|
\begin{equation}
|
|
\label{eq:e_field}
|
|
\vec{E}(\vec{r},t) =
|
|
\vec{E}_0 \Re \left(
|
|
e^{i(
|
|
\vec{k} \cdot \vec{r}-\omega t
|
|
)}
|
|
\right)
|
|
\end{equation}
|
|
|
|
La direzione del vettore $k$ corrisponde a quella di propagazione
|
|
dell'onda elettromagnetica e il suo modulo, il \emph{numero
|
|
d'onda}, dipende dall'indice di rifrazione del mezzo attraversato
|
|
e dalle frequenze della radiazione:
|
|
|
|
\begin{equation}
|
|
\label{eq:k_vinc}
|
|
k = \frac{\omega}{c / n}
|
|
\Rightarrow
|
|
k^2 = (\vec{k})_x^2 + (\vec{k})_y^2 + (\vec{k})_z^2
|
|
= \frac{n^2 \omega^2}{c^2}
|
|
\end{equation}
|
|
|
|
Consideriamo ora un'onda elettromagnetica che incide sulla superficie
|
|
di separazione tra due mezzi, con indici di rifrazione $n_1 > n_2$ e
|
|
con un angolo di incidenza rispetto alla normale alla superficie
|
|
$\theta_i$.
|
|
|
|
Possiamo descrivere la propagazione attraverso la superficie di
|
|
separazione usando un sistema di riferimento dove l'asse $z$ è
|
|
parallelo a essa e il vettore d'onda appartiene al piano $xz$.
|
|
Avremo quindi $(\vec{k})_y = 0$ e $k^2 =(\vec{k})_x^2 + (\vec{k})_z^2)$.
|
|
\begin{figure}[ht]
|
|
\centering
|
|
\includegraphics[width=\linewidth]{images/ev_wave.pdf}
|
|
\caption{Vincoli sui vettori d'onda all'interfaccia di
|
|
separazione tra due mezzi. Le semicirconferenze grigie
|
|
hanno raggio pari al modulo del vettore d'onda.}
|
|
\label{fig:ev_Wave}
|
|
\end{figure}
|
|
|
|
|
|
I vettori $\vec{k}$ delle onde incidenti, trasmessa e riflessa,
|
|
devono rispettare il vincolo definito dall'equazione \ref{eq:k_vinc}.
|
|
Questa condizione è rappresentata graficamente nella figura
|
|
\ref{fig:ev_Wave} dalle due semicirconferenze grigie.
|
|
|
|
Inoltre, per le condizioni di continuità all'interfaccia imposte
|
|
dalle equazioni di Maxwell, deve conservarsi la componente
|
|
tangenziale alla superficie di separazione del vettore d'onda,
|
|
ovvero:
|
|
|
|
\begin{equation}
|
|
(\vec{k}_i)_z = (\vec{k}_r)_z = (\vec{k}_t)_z
|
|
\end{equation}
|
|
|
|
Da queste due condizioni segue che la componente $x$ del vettore
|
|
d'onda trasmesso è data da:
|
|
\begin{multline}
|
|
(\vec{k}_t)_x
|
|
= \sqrt{k_t^2-(\vec{k}_t)_z^2}
|
|
= \sqrt{k_t^2-(\vec{k}_i)_z^2}
|
|
= \sqrt{k_t^2-k_i^2 \sin^2\theta_i}
|
|
= \frac{n_1 \omega}{c} \sqrt{
|
|
\left(\frac{n_2}{n_1}\right) - \sin^2\theta_i
|
|
}\\
|
|
= \frac{n_1 \omega}{c}\sqrt{
|
|
\sin^2\theta_c - \sin^2\theta_i
|
|
}
|
|
\end{multline}
|
|
|
|
Per angoli di incidenza maggiori rispetto a quello critico,
|
|
$\theta_i > \theta_c$, il termine sotto radice diventa negativo.
|
|
Si ottiene quindi una componente $(\vec{k}_t)_x$ immaginaria pura:
|
|
|
|
\begin{multline}
|
|
\vec{k}_t =
|
|
\left(
|
|
\frac{n_1 \omega}{c}\sqrt{
|
|
\sin^2\theta_i - \sin^2\theta_c
|
|
}
|
|
\right) i \vec{\hat{x}}
|
|
+ \left(
|
|
\frac{n_1 \omega}{c} \sin\theta_i
|
|
\right) \vec{\hat{z}} = \\
|
|
= \alpha i \vec{\hat{x}}
|
|
+ \left(
|
|
\frac{n_1 \omega}{c} \sin\theta_i
|
|
\right) \vec{\hat{z}}
|
|
\end{multline}
|
|
|
|
Possiamo ottenere ora l'espressione del campo elettrico trasmesso
|
|
sostituendo $\vec{k_t}$ nell'espressione \ref{eq:e_field}:
|
|
|
|
\begin{equation}
|
|
\vec{E}_t(\vec{r},t)
|
|
= \vec{E}_{t,0} \Re \left(
|
|
e^{i(
|
|
\vec{k}_t \cdot \vec{r}-\omega t
|
|
)}
|
|
\right)
|
|
= \vec{E}_{t,0} \Re \left(
|
|
e^{i \left[
|
|
\left(n_1\omega\sin\theta_i/c\right) z
|
|
-\omega t
|
|
\right]}
|
|
\right)
|
|
e^{-\alpha x}
|
|
\end{equation}
|
|
|
|
Il modulo del campo elettrico trasmesso decade quindi
|
|
esponenzialmente all'aumentare della distanza dalla superficie di
|
|
separazione.
|
|
Possiamo definire la profondità di penetrazione $d_p$ come il valore
|
|
di $x$ per il quale l'intensità luminosa si è ridotta di un fattore $1/e$
|
|
rispetto al valore iniziale:
|
|
\begin{equation}
|
|
\label{eq:depth}
|
|
d_p
|
|
= \frac{1}{2\alpha}
|
|
= \frac{c}{2 n_1 \omega} \frac{1}{\sqrt{
|
|
\sin^2\theta_i - \sin^2\theta_c
|
|
}}
|
|
= \frac{\lambda_0}{4 \pi n_1} \frac{1}{\sqrt{
|
|
\sin^2\theta_i - \sin^2\theta_c
|
|
}}
|
|
\end{equation}
|
|
|
|
Questo valore è importante per capire qual è la profondità massima
|
|
di un fluoroforo affinché questo possa scambiare energia con
|
|
l'onda evanescente ed emettere fluorescenza.
|
|
Se consideriamo gli indici di rifrazione tipici del vetrino
|
|
coprioggetti ($n_1 \approx 1.5$) e di una soluzione acquosa
|
|
($n_2 \approx 1.3$) otteniamo un angolo critico $\theta_c \approx
|
|
\SI{60}{\degree}$.
|
|
Considerando una lunghezza d'onda di eccitazione tipicamente usata
|
|
in microscopia di fluorescenza, $\lambda_0 = \SI{532}{\nm}$, e
|
|
un angolo di incidenza $\theta_i \approx \SI{62}{\degree}$,
|
|
otteniamo una profondità di penetrazione $d_p$ di circa \SI{150}{\nm}.
|
|
|
|
Questi numeri ci danno un'idea del limiti del campo
|
|
di applicazione della microscopia TIRF. Quando è necessario
|
|
individuare fluorofori che si trovano a una profondità maggiore
|
|
di poche centinaia di nanometri rispetto al vetrino coprioggetti
|
|
questa tecnica non è più utilizzabile. Inoltre, come recentemente
|
|
evidenziato \cite{}, esistono limiti che mettono in discussione
|
|
l'applicabilità dell'equazione \ref{eq:depth} in situazioni reali;
|
|
questa infatti non tiene conto di alcuni fattori, come la
|
|
- seppur piccola - divergenza del fascio laser gaussiano, che non
|
|
consente di definire univocamente l'angolo di incidenza.
|
|
Le caratteristiche del sistema ottico e variazioni di indice di
|
|
rifrazione all'interno del campione possono, in generale, fare sì
|
|
che una considerevole parte di radiazione diretta (non evanescente)
|
|
attraversi il campione. In generale non è possibile conoscere con
|
|
certezza il volume illuminato a priori, ma è necessario eseguire
|
|
un qualche tipo di calibrazione.
|
|
|
|
Per ottimizzare il rapporto segnale/rumore quando si deve lavorare
|
|
a profondità maggiori è stata sviluppata un'altra tecnica, la HILO,
|
|
che sfrutta le proprietà della rifrazione per comprimere lo spessore
|
|
di campione illuminato.
|
|
|
|
\subsection{HILO}
|
|
|
|
La microscopia a fogli di luce altamente inclinati
|
|
(\textit{Highly Inclined Laminated Optical Sheet microscopy}, HILO)
|
|
permette, analogamente alla TIRF, di illuminare uno spessore
|
|
ridotto del campione.
|
|
|
|
In questo caso, come mostrato in figura \ref{fig:hilo}, si sfrutta
|
|
un fascio di illuminazione obliquo rispetto alla superficie del
|
|
campione. Questo fascio obliquo interseca sempre il centro del
|
|
sistema ottico, e quindi la parte del campione a fuoco (ovvero posta
|
|
in un piano coniugato del sensore CMOS o CCD),
|
|
ma eccitando esclusivamente i fluorofori in uno spessore ridotto
|
|
del campione ($d$), attorno al piano focale, a una quota sulla superficie
|
|
dipendente dallo spostamento orizzontale del fascio di eccitazione ($\Delta x$).
|
|
|
|
\begin{figure}[ht]
|
|
\centering
|
|
\includegraphics[width=\linewidth]{images/hilo.pdf}
|
|
\caption{Schema di illuminazione HILO. Effetto
|
|
della rifrazione sulla dimensione del fascio (a sinistra) e
|
|
relazione tra quota del campione illuminata e spostamento
|
|
orizzontale del fascio (a destra).}
|
|
\label{fig:hilo}
|
|
\end{figure}
|
|
|
|
Lo spessore verticale illuminato è tanto più piccolo quanto
|
|
maggiore è l'angolo di incidenza del fascio e tanto minore è
|
|
il diametro del fascio D (e quindi il campo visivo illuminato).
|
|
Nel caso dell'ottica geometrica lo spessore $d$ è dato dalla
|
|
relazione:
|
|
|
|
\begin{equation}
|
|
d = \frac{D}{\tan\theta_t}
|
|
\end{equation}
|
|
|
|
dove D è il diametro del fascio sul piano di incidenza e $\theta_t$ è l'angolo
|
|
del fascio rifratto rispetto alla normale.
|
|
|
|
Lo spessore $d$, quindi, potrebbe essere reso piccolo a piacere avvicinando l'angolo
|
|
di incidenza all'angolo critico. Tuttavia i fasci luminosi utilizzati,
|
|
tipicamente generati da un \textit{laser}, sono di tipo gaussiano e
|
|
non si propagano secondo le leggi dell'ottica geometrica.
|
|
In particolare il raggio minimo del fascio (\textit{waist}) e
|
|
la sua divergenza sono inversamente correlati. Se $\$w_0$ è il minimo
|
|
valore del raggio del fascio durante la sua propagazione e $z$ è
|
|
la distanza, lungo la direzione di propagazione, dal punto di minimo,
|
|
l'evoluzione del raggio di un fascio gaussiano seguirà l'andamento:
|
|
\begin{equation}
|
|
\label{eq:waist}
|
|
w(z)
|
|
= w_0 \sqrt{1 + \left(
|
|
\frac{z}{\pi w_0^2 / \lambda}
|
|
\right)^2}
|
|
= w_0 \sqrt{1 + \left(
|
|
\frac{z}{z_R}
|
|
\right)^2}
|
|
\end{equation}
|
|
|
|
Il parametro $z_R$ introdotto nell'equazione \ref{eq:waist} rappresenta
|
|
una proprietà importante dei fasci gaussiani, ovvero il \textit{parametro
|
|
confocale}. A una distanza $z_R$ dal \textit{waist} lungo la direzione
|
|
di propagazione il diametro del fascio risulta aumentato di un fattore
|
|
$\sqrt{2}$, per poi continuare a crescere secondo la relazione \ref{eq:waist}.
|
|
|
|
Quindi, maggiore è la lunghezza $z_R$ minore sarà la divergenza. Questa lunghezza,
|
|
però, è inversamente proporzionale al diametro minimo del fascio, come si può
|
|
vedere confrontando il secondo e il terzo membro dell'equazione \ref{eq:waist}.
|
|
Questo vuol dire che è possibile ottenere un fascio gaussiano con un diametro più
|
|
piccolo solo aumentandone la divergenza.
|
|
|
|
%%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%%
|
|
Nel caso della diffrazione di un fascio gaussiano, passando da un mezzo
|
|
con indice di rifrazione $\theta_i$ a uno con indice di rifrazione $\theta_r$,
|
|
le dimensioni del \textit{waist} nella direzione perpendicolare alla
|
|
superficie d'incidenza vengono compresse di un fattore
|
|
$\cos\theta_i / \cos\theta_r$. La divergenza del fascio sarà però determinata
|
|
dal nuovo fattore confocale
|
|
$z_R' = \pi (w_0')^2 / \lambda = \pi (w_0 \cos\theta_i / \cos\theta_r)^2 / \lambda$
|
|
(vedi figura \ref{fig:gaussian_hilo}).
|
|
|
|
\begin{figure}[ht]
|
|
\centering
|
|
\includegraphics[width=0.5\linewidth]{gaussian_hilo.pdf}
|
|
\caption{Compressione di un fascio gaussiano in seguito a rifrazione.}
|
|
\label{fig:gaussian_hilo}
|
|
\end{figure}
|
|
|
|
Possiamo quindi affermare che viene effettivamente illuminato uno
|
|
spessore di campione $\delta x = 2 w_0' = 2 w_0 \cos\theta_i / \cos\theta_r$
|
|
attraverso una lunghezza trasversale
|
|
$\delta z = 2 z_R' =
|
|
2 \pi (w_0 \cos\theta_i / \cos\theta_r)^2 / \lambda$
|
|
|
|
Questa tecnica, a differenza della TIRF, permette di effettuare una
|
|
scansione in profondità del campione. Infatti, in virtù della
|
|
geometria del sistema d'illuminazione, se il piano focale viene
|
|
modificato allontanando o avvicinando il campione
|
|
dall'obiettivo, la posizione in cui il fascio inclinato incide
|
|
sul vetrino risulterà traslata orizzontalmente e, di conseguenza, il
|
|
fascio di illuminazione attraverserà il centro del campione in
|
|
corrispondenza del piano focale, come mostrato in figura \ref{fig:hilo_focus}
|
|
|
|
\begin{figure}[ht]
|
|
\centering
|
|
\includegraphics[width=0.5\linewidth]{hilo_focus.pdf}
|
|
\caption{Illuminazione HILO e selezione del piano focale.}
|
|
\label{fig:hilo_focus}
|
|
\end{figure}
|