\chapter{Metodi} \label{cap:methods} %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% %%%%%%%%% \section{Stabilizzazione meccanica} \label{sec:stabilization} L'isolamento meccanico fornito dagli elastomeri e dal tavolo ottico non è sufficiente a mantenere la posizione del campione stabile al livello di precisione del nanometro, precludendo la possibilità di poter eseguire misurazioni di forza con la sensibilità del \si{pN}. Gli effetti più evidenti e rilevabili sono rapide oscillazioni della posizione del campione dovute a vibrazioni acustiche residue e, in aggiunta a queste, una più lenta deriva della posizione dovuta alla dilatazione o alla compressione delle strutture del microscopio in conseguenza delle fluttuazioni termiche. Senza alcuna correzione, sono sufficienti fluttuazioni termiche dell'ordine dei decimi di grado per causare, su tempi di osservazione di qualche minuto, una significativa e progressiva deriva rispetto alla posizione iniziale ($> \SI{100}{\nm}$). Per quantificare quest'effetto viene usato un apposito campione in cui diverse microsfere in silice, di diametro \SI{0.5}{\um}, vengono immobilizzate in uno strato di nitrocellulosa depositato nella superficie interna del vetrino coprioggetti. Le varie fasi per la preparazione di questo campione sono descritte in dettaglio nell'appendice \ref{app:protocols}, protocollo \ref{proto:silica_beads_flow_cell}. Le microsfere immobilizzate nel campione possono essere messe a fuoco e visualizzate attraverso il sistema di microscopia a luce trasmessa. Una volta selezionata e messa a fuoco una microsfera, analizzando l'immagine prodotta da uno dei due sensori CMOS è possibile, dopo aver filtrato i pixel con una soglia d'intensità ($I_S$) determinate empiricamente, in modo da non considerare il segnale residuo nello sfondo, calcolare le coordinatedel suo centroide: \begin{equation} (x_{cen}, y_{cen}) = \frac{ \sum_{(x, y)} (x, y) I(x, y) }{ \sum_{(x, y)} I(x, y) } \end{equation} La sommatoria si intende estesa a tutti i pixel con coordinate $(x, y)$ dell'immagine che verificano la condizione di soglia $I(x, y) > I_s$. $I(x, y)$ è l'intensità del pixel misurata in unità del CMOS. Per evitare di considerare altre microsfere o imperfezioni sul campione si sceglie di effettuare il calcolo del centroide limitando la regione dell'immagine utilizzata a un rettangolo nel quale una microsfera è sufficientemente isolata. Ricalcolando il centroide a intervalli temporali fissati è possibile osservare la deriva della posizione (x, y) della microsfera. Inoltre si ha la possibilità di sfruttare questo stesso campione per effettuare una calibrazione del fattore di conversione pixel/nm della telecamera lungo due assi ortogonali. Per effettuare la calibrazione, dopo aver calcolato il centroide della microsfera, si sposta la posizione dal campione lungo uno dei due assi di una distanza ben definita, utilizzando il traslatore piezoelettrico. A questo punto, calcolando la nuova posizione del centroide si ottiene il rapporto tra lo spostamento comandato al traslatore (in \si{\nm}) e la variazione del centroide (in pixel). Ripetendo questa operazione in sequenza per vari punti si ottiene una curva di calibrazione per l'asse scansionata, dalla quale è possibile estrarre la costante di proporzionalità con un \textit{fit} lineare. Risulta più complesso invece stimare la deriva del piano focale: per questo motivo è stato sviluppato un metodo per determinare, a partire dalle immagini, un valore che sia linearmente proporzionale alla quota del piano focale rispetto al centro della sfera. Il metodo sviluppato sfrutta le caratteristiche dalla distribuzione radiale della luce diffusa dalla microsfera. In figura \ref{fig:radial_itensity} è rappresentato l'andamento del profilo radiale che si ottiene variando la quota del piano focale (z). Il profilo radiale è stato calcolato, dopo aver determinato il centroide della microsfera, per ogni valore intero di $r$, come la media delle intensità dei pixel la cui distanza dal centro (approssimata all'intero più vicino) sia uguale a $r$. \begin{figure}[ht] \centering \includegraphics{images/radial_intensity.pdf} \caption{Profilo di intensità radiale rispetto al centroide per una microsfera, in diversi piani.} \label{fig:radial_itensity} \end{figure} Da questi dati è stato possibile osservare che il rapporto tra l'intensità integrata in un anello centrato sulla microsfera e quella integrata nella regione interna al medesimo anello (regioni arancioni e gialle in figura), mostra un andamento proporzionale alla quota del piano focale in un certo intorno del centro della sfera. In figura \ref{fig:z_est} viene mostrato l'andamento del rapporto tra l'intensità media in un anello con raggi interno ed esterno rispettivamente di \SIlist{80;160}{pixel} e l'intensità media calcolata in un raggio di \SI{60}{pixel}. \begin{figure}[ht] \centering \includegraphics[scale=0.8]{images/z-est.pdf} \caption{Andamento del rapporto intensità anello/cerchio in funzione della quota del piano focale.} \label{fig:z_est} \end{figure} Come si può osservare la quantità così definita può essere usata per determinare la quota con una discreta sensibilità in un intervallo di \SIrange{3}{4}{\um} intorno al centro della sfera. Analogamente a quanto fatto per gli assi x e y è possibile eseguire una calibrazione spostando il campione di una quota controllata attraverso il traslatore piezoelettrico dell'obiettivo, e costruire una curva di calibrazione come quella in figura \ref{fig:z_est}. La curva in figura \ref{fig:z_est} è stata realizzata acquisendo dieci immagini per ciascuna quota e campionando la quota a passi di 300 nm. Per la regione in cui l’andamento è lineare (delimitata tra le barre rosse in figura, tra \SI{2.8}{\um} e \SI{5.6}{\um}) è stato eseguito un fit lineare ottenendo i seguenti parametri: \begin{table}[ht] \centering \begin{tabular}{ l l l } \toprule {\it Nome parametro} & {\it Valore} & {\it Err. percentuale}\\ \midrule Costante & $(0.9520\pm0.0025)$ & 0.26\% \\ Pendenza & $(0.0206\pm0.0006)\si{\um^{-1}}$ & 2.9\% \\ \bottomrule \end{tabular} \caption{Parametri del fit per la determinazione di z a partire dalle immagini.} \end{table} Conoscendo quindi tre fattori di calibrazione è possibile, partendo da un'immagine della microsfera, ottenere una stima della sua posizione nello spazio tridimensionale. Questo ci permette di implementare un sistema attivo di stabilizzazione meccanica del microscopio. Continuando a monitorare la sfera, mediante l'illuminazione a luce trasmessa, mentre si eseguono le misurazioni di forza è possibile rilevare gli spostamenti del campione e compensarli inviando appositi comandi ai traslatori piezoelettrici. In ambiente LabVIEW ho sviluppato un codice di controllo che implementa un meccanismo di retroazione tra le letture sulla posizione della sfera e i traslatori piezoelettrici. Il codice consente all'operatore di selezionare la regione d'interesse intorno a una microsfera immobilizzata sul vetrino coprioggetti. Successivamente, quando la stabilizzazione viene attivata, il codice acquisice diverse immagini della microsfera e ne stima la posizione iniziale in termini di coordinate (x, y, z), usando i fattori di conversione determinati con la calibrazione. A questo punto viene avviato un ciclo di retroazione: continuando ad acquisire immagini della microsfera (a una frequenza che può arrivare fino a \SI{100}{\Hz}), viene comandato ai traslatori uno spostamento proporzionale alla differenza tra la posizione della sfera rilevata e quella iniziale. Il fattore di proporzionalità del ciclo di retroazione (guadagno, $g$) influenza le caratteristiche della risposta del sistema: un fattore troppo elevato causerà una sovracorrezione delle perturbazioni, inducendo oscillazioni smorzate, mentre un fattore troppo piccolo aumenterà inutilmente il tempo di risposta. Per trovare il valore ottimale si osserva la risposta del sistema per diversi valori di $g$, in seguito ad una perturbazione fittizia ottenuta modificando di \SI{50}{\nm} il \textit{set point} del sistema di retroazione lungo una direzione. In figura \ref{fig:step_response} si riporta la risposta del sistema di stabilizzazione per gli assi $x$ e $z$ a diversi valori del fattore di proporzionalità $g$. \begin{figure} \centering \includegraphics{images/step_response.pdf} \caption{Risposta del sistema a una perturbazione di \SI{50}{\nm} lungo l'asse $x$ (sinistra) e $z$ (destra).} \label{fig:step_response} \end{figure} Quando il sistema di stabilizzazione meccanica viene attivato è stato possibile mostrare che la posizione media del campione resta stabile indipendentemente dal tempo di osservazione, con fluttuazioni che hanno una deviazione standard di circa \SI{1}{\nm}. L'acquisizione di diverse tracce della durata di 5-10 minuti ha sempre mostrato deviazioni standard delle fluttuazioni comprese tra \SIlist{1;2}{\nm}. In figura \ref{fig:active_stab} vengono riportati i tracciati delle fluttuazioni della posizione del campione, con (nero) e senza (rosso) l'intervento del sistema di stabilizzazione attiva. \begin{figure}[ht] \centering \includegraphics{images/active_stab.pdf} \caption{Deriva della posizione del campione con e senza sistema di stabilizzazione attivato.} \label{fig:active_stab} \end{figure} \section{Calibrazione dei parametri delle trappole} \label{sec:calibration} Per poter eseguire misurazioni di forza su sistemi biologici è fondamentale riuscire a conoscere il valore della tensione applicata alle microsfere intrappolate nelle pinzette ottiche. Questo si può effettuare poiché l'azione di una pinzetta ottica su una microsfera può essere modellizzata come una forza di richiamo elastica (vedi sezione \ref{sec:ot}). Conoscendo la costante di richiamo è possibile mettere in relazione la posizione della sfera rispetto al centro della trappola (rilevabile tramite i QPD) con la risultante delle altre forze esterne che agiscono sulla microsfera. Quando la microsfera viene messa in movimento da una forza esterna, è necessario considerare anche l'attrito viscoso con il fluido in cui è immersa. La forza dovuta all'attrito viscoso avrà la forma: \begin{equation} \vec{F}_{visc} = - \gamma \vec{v}\ \end{equation} Dove $\gamma$ è il coefficiente di attrito idrodinamico della microsfera. Nel caso più generale la microsfera sarà inoltre soggetta a una sforza stocastica ($\eta(t)$), dovuta agli urti con il fluido, e a una forza esterna $\vec{F}$, ad esempio dovuta alla tensione di una biomolecola legata ad essa. Possiamo quindi scrivere la forma più generale dell'equazione di moto come: \begin{equation} \label{eq:bead_motion} \underbrace{m \ddot{\vec{x}}}_\text{inerzia} = \underbrace{\vec{F}}_\text{f. esterna} + \underbrace{\mathbf{\eta}(t)}_\text{f. stoc.} - \underbrace{\gamma \dot{\vec{x}}}_\text{attrito} - \underbrace{k \vec{x}}_\text{richiamo} \end{equation} La forza stocastica $\eta(t)$ ha media nulla ($\langle\eta(t)\rangle_t = 0$) e viene assunta con distribuzione di probabilità gaussiana con $\sigma^2 = 2 k_B T \gamma$. In condizioni di equilibrio la posizione media della microsfera sarà quindi: \begin{equation} \vec{x_0} = \langle \vec{x(t)} \rangle_t = - \frac{\vec{F}}{k} \end{equation} E la deviazione standard delle fluttuazioni rispetto alla posizione di equilibrio può essere determinata usando il teorema di equipartizione dell'energia: \begin{multline} \langle U(x) \rangle = \frac{1}{2} k \langle (x-x_0)^2 \rangle = \frac{1}{2} k_B T \\ \Longrightarrow \langle (x-x_0)^2 \rangle = \langle x^2 \rangle - \langle x \rangle^2 = \sigma_x^2 = k_B T / k \end{multline} Oltre alla conoscenza di $k$, un altro valore importante da stimare è il tempo di rilassamento $\tau$ del sistema, ovvero la scala temporale nella quale la microsfera si stabilizza nella nuova posizione di equilibrio a seguito di una variazione della forza $F$. Questo tempo è strettamente legato allo smorzamento dovuto all'attrito idrodinamico. Osservando l'equazione di moto \ref{eq:bead_motion} si può descrivere la dinamica della sfera in due regimi estremi: \begin{itemize} \item il regime \textit{balistico}, quando il moto è dominato dalla componente inerziale, con un tempo caratteristico di rilassamento $\tau_{\textrm{bal}} = m / \gamma$. \item il regime \textit{diffusivo}, qunado il termine inerziale legato alla massa è trascurabile, con un tempo di rilasamento $\tau_{\textrm{diff}} = \gamma / k$. \end{itemize} Tenendo conto delle caratteristiche delle microsfere si hanno valori $\tau_{\textrm{bal}} < \SI{1}{\us}$, mentre per i valori di $k$ ottenibili con il nostro sistema di pinzette ottiche è possibile ridurre $\tau_{\textrm{diff}}$ fino a circa \SI{100}{\us}. Il tempo di risposta del sistema nel regime balistico è quindi completamente trascurabile, e il transiente tra una perturbazione e la stabilizzazione nella nuova posizione di equilibrio può essere descritto trascurando il termine inerziale dell'equazione di moto. Il protocollo di calibrazione sviluppato consente, partendo dal campionamento della posizione relativa della microsfera lungo un'asse spaziale, di determinare con precisione i valori di $\tau$, e quindi di $k$ per ogni posizione della trappola. Per fare questo si tiene conto che la densità spettrale delle fluttuazioni della posizione è data da \cite{Gittes1998}: \begin{equation} S_x(\nu) = \frac{k_B T}{\pi^2 \gamma (\nu^2 + \nu_c^2)} \end{equation} Dove $\nu_c = 1 / (2\pi\tau) = k / 2\pi\gamma$ é la frequenza di taglio, inversamente proporzionale al tempo di rilassamento. Da un semplice $fit$ della distribuzione spettrale del rumore della posizione è possibile quindi estrarre il valore di k. Il segnale misurabile in uscita dagli amplificatori differenziali dei QPD è un segnale in tensione, compreso tra \SIlist{-10;+10}{\V}, proporzionale alla posizione relativa della microsfera. Tramite il fit dei dati possiamo anche ottenere il fattore di conversione $\beta$ tale che $x_{rel}(V) = \beta V$. La distribuzione spettrale del rumore, riscalata rispetto alla variabile $V$ sarà quindi: \begin{equation} S_V(\nu) = \frac{1}{\beta^2}\frac{k_B T}{\pi^2 \gamma (\nu^2 + \nu_c^2)} \end{equation} Per la calibrazione si procede a preparare un campione con una cella di flusso contenente microsfere di polistirene (di diametro \SI{0.9}{\um}). Grazie a un'apposito programma sviluppato in ambiente LabVIEW (\texttt{Force-Clamp Calibration}) è possibile acquisire in maniera automatizzata le tracce del segnale prodotto dai QPD per una griglia di posizioni delle trappole. Il codice si occupa di memorizzare le tracce temporali, e per ogni posizione, spostare la trappola modificando la frequenza inviata agli AOM. Le tracce temporali vengono acquisite per una durata di \SI{10}{\second} per ogni posizione e a una frequenza di campionamento di \SI{200}{kS/s}. In seguito viene calcolata per ogni posizione di ciascuna trappola la distribuzione spettrale di rumore, utilizzando un algoritmo per la trasformata di Fourier veloce (\textit{Fast Fourier Transform}, FFT), con i parametri riportati in tabella \ref{tab:fft_par}. Il limite teorico imposto dal teorema di Shannon fissa a \SI{100}{\kHz} la massima frequenza rilevabile, tuttavia si sceglie di tagliare la coda finale dello spettro selezionando solo le frequenze compresa tra \SI{15}{\Hz} e \SI{50}{\kHz}. Mentre in questo intervallo la sensibilità del rilevatore al silicio usato nei QPD è relativamente costante, inizia a decrescere per frequenze maggiori, e la coda finale dello spettro delle fluttuazioni viene nascosta dal rumore elettronico e altri disturbi, come quelli generati ad esempio dagli alimentatori AC/DC. \begin{table}[ht] \centering \begin{tabular}{>{\bf}l l} \toprule Metodo di accumulo & Welch\cite{Welch1967} \\ Segmenti accumulati & 32 \\ Lunghezza segmenti & N/32 \\ Finestra & Hann \\ \bottomrule \end{tabular} \caption{Parametri FFT} \label{tab:fft_par} \end{table} Su ciascuno spettro viene eseguito un \textit{fit} per determinare i valori di $\beta$ e $k$ imponendo i valori noti riportati in tabella \ref{tab:fit}. \begin{table}[ht] \centering \begin{tabular}{l l l} \toprule Parametro & Simbolo & Valore \\ \midrule Raggio della sfera & $R$ & \SI{450}{\nm} \\ Temperatura & $T$ & \SI{295}{\K} \\ Distanza sfera da superificie & $d$ & \SI{1}{\um} \\ Viscosità & $\eta$ & \SI{1e-3}{\Pa\second} \\ Coefficiente attrito idrodinamico & $\gamma$ & $6 \pi \eta R \left(1+\frac{9R}{16d}\right)$\\ Frequenza minima & $\nu_{\textrm{min}}$ & \SI{15}{\Hz} \\ Frequenza massima & $\nu_{\textrm{max}}$ & \SI{50}{\kHz} \\ \bottomrule \end{tabular} \caption{Parametri $fit$ distribuzione spettrale} \label{tab:fit} \end{table} In figura \ref{fig:psd} si riporta una distribuzione spettrale tipica confrontata con la funzione teorica. \begin{figure}[htpb] \centering \includegraphics{images/PSD.pdf} \caption[scale=0.7]{Densità spettrale di rumore per la posizione di una trappola ottica.} \label{fig:psd} \end{figure} Dai valori di $k$ e $\beta$ estratti per tutte le posizioni di ciascuna trappola è possibile interpolare i valori per ogni possibile posizione intermedia. Per fare questo si usano delle funzioni polinomiali di ordine 3, come mostrato in figura \ref{fig:trap_ccurves}. \begin{figure}[htpb] \centering \includegraphics[scale=0.8]{images/calibration_curves.pdf} \caption{Andamento e interpolazione dei valori di $k$ e $\beta$.} \label{fig:trap_ccurves} \end{figure} \section{\textit{Force-clamp} tramite ciclo di retroazione} \label{sec:force-clamp} Un esperimento di \textit{force-clamp} consiste nello studiare la dinamica della formazione e della rottura del legame tra due molecole quando queste sono sottoposte a una determinata forza di trazione costante. Per poter applicare una tale forza tramite una microsfera catturata in una pinzetta ottica è stato implementato un sistema di retroazione tra la lettura della posizione relativa della microsfera nella trappola (dai QPD) e la posizione della trappola nel campione (tramite gli AOM). Scelto un valore per la forza (F) si può ricavare, conoscendo il valore di $k$, il corrispondente spostamento $\Delta x$ rispetto al centro della trappola. Per ottenere un valore forza applicata $F$ è necessario porsi nella condizione in cui la microsfera si è spostata di $-k/F$ dalla posizione di equilibrio. Se definiamo questa posizione come $x_{SET}$ e avviamo un ciclo di retroazione in cui comandandiamo agli AOM uno spostamento della trappola proporzionale alla differenza tra la posizione, rilevata dai QPD, della microsfera e $x_{SET}$, possono verificarsi i due seguenti casi: \begin{itemize} \item Nel caso in cui la microsfera sia libera in soluzione, ovvero non vi sia applicata alcuna forza esterna, essa tenderà a muoversi sempre verso il centro della trappola (la sua posizione di equilibrio). Il sistema di retroazione quindi, per mantenere la sfera in un punto di non equilibrio a distanza $\Delta x$ dalla posizione di riposo, dovrà continuare a muovere indefinitamente la posizione della trappola nella stessa direzione. \item Nel caso in cui la microsfera si leghi a delle molecole immobilizzate sulla superficie del campione, lo spostamento delle trappola si arresterà quando la forza esterna esercitata sulla microsfera, dovuta al legame, sarà tale da mantere $\Delta x$ al valore fissato. In questo modo, alle due molecole legate, sarà applicata una tensione pari a quella selezionata. \end{itemize} \begin{figure}[ht] \centering \includegraphics{images/tension.pdf} \caption{\textit{Force-clamp} con una trappola.} \label{fig:tension} \end{figure} Osservando i tracciati temporali della posizione relativa della microsfera è possibile individuare la transizione tra questi due regimi, sia attraverso la velocità di variazione della posizione, che possiamo ottenere derivando numericamente il segnale, sia dalla variazione della deviazione standard delle fluttuazioni e del loro spettro di rumore. Tramite un'analisi statistica di questi dati per diversi valori di tensione selezionati è possibile caratterizzare quantitativamente la dipendenza dalle sollecitazioni esterne del legame analizzato. Per realizzare sperimentalmente questa misura occorre un sistema elettronico in grado di campionare il segnale prodotto dai QPD e modificare di conseguenza la frequenza del segnale di modulazione invato agli AOM. Per garantire un funzionamento stabile e la possibilità di rilevare eventi di durata confrontabile con il tempo di rilassamento diffusivo si utilizza una scheda elettronica programmabile dedicata, di tipo FPGA (\textit{Field Programmable Gate Array}), per controllare il ciclo di retroazione. In questo modo è possibile leggere i valori di posizione e aggiustare il segnale generato per gli AOM a una frequenza di \SI{200}{\kHz}, pari al doppio della larghezza di banda dei diodi usati nei QPD. La scheda FPGA (National Instruments) è stata programmata con un codice progettato in ambiente LabVIEW, e comunica con un apposito programma in esecuzione sul PC di controllo dell'esperimento per configurare i parametri sperimentali e memorizzare i tracciati (\texttt{Force-Clamp Control}). In figura \ref{fig:forceclamp-feedback} è mostrato uno schema semplificato del ciclo di retroazione implementato per ciascuna trappola. \begin{figure}[ht] \centering \includegraphics{images/forceclamp_feedback.pdf} \caption{Caption} \label{fig:forceclamp-feedback} \end{figure} \section{Saggio a tre sfere} \label{sec:three-beads} Nelle giunzioni aderenti la trasmissione degli sforzi meccanici è spesso mediata da proteine filamentose (come la \textit{F-actina}). Per utilizzare questo tipo di proteine negli esperimenti di \textit{force-clamp} risulta particolarmente utile sviluppare un tipo di misura in cui, usando due trappole, è possibile mettere in tensione una proteina filamentosa, legando le sue estremità a due microsfere intrappolate. In questo modo possiamo fare interagire altre proteine. ad esempio immobilizzate sul vetrino coprioggeti, con l'actina messa in tensione e sospesa tra le due trappole. \begin{figure}[h] \centering \begin{subfigure}{0.45\linewidth} \centering \includegraphics[width=\linewidth]{images/three_beads_tension.pdf} \caption{} \label{fig:feedback-off} \end{subfigure} \\[\baselineskip] \begin{subfigure}{0.45\linewidth} \centering \includegraphics[width=\linewidth]{images/three_beads_fbON_unbound.pdf} \caption{} \label{fig:feedback-on-unbound} \end{subfigure} \hfill \begin{subfigure}[H]{0.45\linewidth} \centering \includegraphics[width=\linewidth]{images/three_beads_fbON_bound.pdf} \caption{} \label{fig:feedback-on-bound} \end{subfigure} \centering \caption{(a) Ciclo di retroazione disattivato, microsfere in posizione di equilibrio. La tensione del filamento può essere aggiustata modificando la distanza delle trappole. (b) Ciclo di retroazione attivato, nessuna molecola immobilizzata legata al filamento. Le trappole si muovono indefinitamente per ``inseguire'' la posizione corrispondente alla forza richiesta. (c) Il filamento si lega con una molecola immobilizzata sul vetrino, la microsfera raggiunge la posizione target e lo spostamento delle trappole si arresta. La forza applicata sul legame è pari a quella selezionata.} \label{fig:three_beads} \end{figure} In figura \ref{fig:three_beads} è rappresentato lo schema realizzato. In mancanza di legame, il sistema continuerebbe a muovere le trappole indefinitamente fino a raggiungere regioni dove l'efficienza di intrappolamento non è più sufficiente oppure a esaurire l'intervallo di deflessioni ottenibili con gli AOM. Per evitare questo si decide di limitare gli spostamenti massimi delle trappole in un intervallo di qualche \si{nm}, implementando un sistema di ``riflessione'': quando il fascio che sta tentando di applicare la forza selezionata $\Delta F$ si è spostato di un determinato cammino massimo, si scambia il ruolo delle due trappole e si applica un incremento di forza $-\Delta F$ sulla trappola che prima era passiva. In questo modo la tensione applicata sul sistema meccanico è uguale in modulo e opposta in verso. Inoltre il sistema può continuare ad acquisire dati autonomamente per lunghi intervalli di tempo senza la necessità di interventi manuali. Uno schema di questo tipo è già stato utilizzato per lo studio dell'interazione di motori molecolari (come la \textit{miosina}) e filamenti di \textit{actina}. Nello studio delle giunzioni cellulari sono ipotizzabili numerosi esperimenti in cui uno o più fattori appartenenti ai complessi di giunzione siano fatti interagire con un filamento di actina teso tra le due trappole. \section{Fluorescenza di singola molecola} \label{sec:single_molecule_fluorescence} L'apparato sperimentale consente, in parallelo all'esecuzione di un esperimento di \textit{force-clamp}, di eccitare la fluorescenza del campione alle lunghezze d'onda di \SIlist{488;532;635}{\nm}. Anche il sistema di stabilizzazione attiva (che usa una transilluminazione a lunghezze d'onda $ >\SI{700}{\nm}$) può essere mantenuto attivo contemporaneamente, visto che le finestra di eccitazione ed emissione scelte sono a lunghezze d'onda inferiori. I filtri dicroici utilizzati (vedi tabella \ref{tab:optical_components}) permettono di osservare radiazione di fluorescenza emessa nelle finestre riportate in tabella \ref{tab:fluo_lambda}: \begin{table}[ht] \centering \begin{tabular}{c c c} \toprule $\lambda$ eccitazione [\si{nm}] & $\lambda$ emissione [\si{nm}] & Potenza massima [\si{mW}] \\ \midrule \num{488} & \numrange{502.5}{518.5} & \num{1.6}\\ \num{532} & \numrange{550.0}{613.0} & \num{1.1}\\ \num{635} & \numrange{663.0}{700.0} & \num{2.4} \\ \bottomrule \end{tabular} \caption{Lunghezze d'onda di eccitazione ed emissione compatibili con l'apparato sperimentale, e potenza elettromagnetica totale immessa nel campo visivo.} \label{tab:fluo_lambda} \end{table} Per ciascuna lunghezza d'onda è possibile ottenere una potenza totale nel campo visivo raccolto dal sensore EMCCD $\SI{1}{mW}$. Per confrontare le proprietà di fluorofori a diverse lunghezze d'onda scegliamo di impostare l'emissione di tutte le sorgenti laser in modo da avere sempre $\SI{1}{\mW}$ di potenza ottica sul campione. Per rendere uniforme la distribuzione di potenza nel campo visivo si tronca il fascio gaussiano prima di focalizzarlo sull'obiettivo a un raggio pari circa a 1/15 di quello iniziale (corrispondente alle dimensione del campo visivo sul campione). In questo modo le deviazione massima d'intensità tra i bordi e il centro della regione illuminata è ridotta al \SI{17}{\percent} (figura \ref{fig:flatfield}). \begin{figure}[ht] \centering \includegraphics{images/flatfield.png} \caption{Simulazione della distribuzione spaziale intensità \textit{laser} sul campione. Nell'inserto viene evidenziata la regione corrispondente al campo visivo della telecamera di fluorescenza.} \label{fig:flatfield} \end{figure} La densità di potenza che si riesce ad ottenere sul campione risulta intorno ai \SI{100}{\W\per\square\cm}. Per poter rilevare e localizzare singoli fluorofori è necessario ottenere un rapporto segnale/rumore molto elevato. I fotoni emessi da una singola molecola sono relativamente pochi e tutte le sorgenti di fotoni spuri che potrebbero raggiungere il rilevatore devono essere soppresse nel miglior modo possibile. I componenti ottici usati nell'apparato, le strutture di sostegno del microscopio, i vetrini usati per preparare i campione e i solventi usati possono essere deboli sorgenti di fluorescenza ed emettere fotoni alle stesse lunghezze d'onda raccolte. Per questo motivo è di particolare importanza isolare spazialmente i diversi cammini ottici nell'apparato, minimizzare la diffusione della luce riducendo il diametro dei fasci a quello necessario, prestando particolare cura al perfetto allineamento e centraggio di ogni componente e inserendo elementi assorbenti di separazione quando possibile. Lo spettro di emissione del laser utilizzato per il fascio di eccitazione deve essere il più pulito possibile, infatti eventuali componenti residue vicine alla finestra di emissione del fluoroforo possono portare a un aumento della luce retrodiffusa dal campione nel cammino di raccolta, aumentando significativamente il rumore all'aumentare della potenza del laser. Per questo motivo, visto che le sorgenti che abbiamo a disposizione sono economici laser a diodo con spettri di emissione non particolarmente \textit{puliti}, è necessario utilizzare dei filtri di \textit{clean-up} in modo da sopprimere con fattori di estinzione elevati ogni emissione spuria. Ugualmente importante è massimizzare l'efficienza di raccolta: il rilevatore utilizzato, un sensore EMCCD, può operare in regime di \textit{conteggio fotoni}, con una sensibilità molto elevata anche a brevi tempi di integrazione. Infatti, a differenza di quanto avviene nei comuni sensori CCD, gli elettroni accumulati in ciascuna cella del sensore attraversano una regione di moltiplicazione, dove, grazie a un'elevata differenza di potenziale, viene massimizzata la possibilità di generare nuovi elettroni per ionizzazione da impatto. Il segnale (sotto forma di cariche accumulate) che a questo punto viene trasferito allo stadio di integrazione e lettura del CCD, presenta già un elevato guadagno senza dover far ricorso a ulteriori stadi di amplificazione elettronica. Per operare correttamente il sensore EMCCD deve essere raffreddato a temperature $< \SI{-60}{\celsius}$, in modo da ridurre il più possibile gli elettroni prodotti termicamente (corrente di buio), che possono subire lo stesso processo di moltiplicazione dei fotoelettroni. Oltre al rumore dovuto all'apparato sperimentale è importante tenere conto del fatto che, quando si usa il classico schema di illuminazione a campo largo, il fascio di eccitazione attraversa per intero il campione. Quindi la presenza di fluorofori liberi in soluzione provoca un aumento consistente del rumore dovuto alla fluorescenza fuori fuoco. I fluorofori che si intende utilizzare per lo studio della meccanotrasduzione appartengono alla famiglia Alexa Fluor (Molecular Probes). Si tratta di molecole organiche sintetica particolarmente fotostabili e con resa quantica elevata. In commercio si trovano versioni funzionalizzate legate a svariate molecole e kit di coniugazione che consentono di legare semplicemente e rapidamente i fluorofori a proteine e peptidi. Tenendo conto delle caratteristiche dell'apparato è possibile utilizzare i fluorofori Alexa Fluor 647, 532 e 488. In figura \ref{fig:alexa_spectra} si riportano gli spettri di eccitazione e emissione. \begin{figure}[ht] \centering \includegraphics[width=0.8\linewidth]{images/alexa.png} \caption{Spettri di eccitazione (linea tratteggiata) ed emissione (linea continua) dei fluorofori Alexa Fluor 488, 532 e 635.} \label{fig:alexa_spectra} \end{figure} Per testare la capacità di visualizzare singoli fluorofori e stimare le prestazioni del sistema utilizziamo dei campioni in cui una distribuzione di Alexa 647 è immobilizzata sul vetrino coprioggetti (vedi appendice \ref{app:protocols}, protocollo \ref{proto:alexa}). \begin{figure}[ht] \centering \includegraphics[scale=0.8]{images/alexa647.png} \caption{Cella di flusso con fluorofori immobilizzati sul vetrino coprioggetti (a sinistra) e campione di controllo senza fluorofori (a destra). Istogramma delle due immagini (in basso).} \label{fig:alexa647} \end{figure} Il contrasto medio tra i fluorofori è lo sfondo (media dell'intensità in una regione lontana dai fluorofori) è maggiore di 10. \begin{figure} \centering \includegraphics[scale=0.8]{images/snr.png} \caption{Profilo di intensità della PSF di un fluoroforo.} \label{fig:snr} \end{figure} \section{TIRF e illuminazione a modi di galleria} \label{sec:gallery_mode} Quando sono presenti fluorofori liberi in soluzione, per esempio nel caso in cui si voglia studiare l'interazione delle due proteine sottoposte a \textit{force-clamp} con una terza piccola molecola marcata, il rapporto segnale-rumore si riduce drasticamente. La fluorescenza fuori fuoco infatti farà aumentare il valore medio del rumore di fondo, arrivando a nascondere il segnale dei singoli fluorofori sul piano focale. Come è stato introdotto in \ref{sec:fluo} è possibile migliorare il rapporto segnale/rumore in questi casi sfruttando schemi di illuminazione che riducono il volume di campione eccitato. Nel nostro caso l'interesse sta non solo nel ridurre il volume di eccitazione, ma concentrarlo in una regione di poche centinaia di \si{\nm} intorno al sito di interazione tra le due proteine sottoposte a \textit{force-clamp}. Grazie all'utilizzo dello specchio mobile sul percorso di eccitazione della fluorescenza, e di un obiettivo TIRF, è possibile esplorare tramite questo apparato due possibili scenari sperimentali per rilevare la fluorescenza nei dintorni della regione del legame. Il primo schema (figura \ref{fig:gallery_tirf}) fa leva sull'accoppiamento evanescente tra l'onda elettromagnetica presente sulla superficie del vetrino (illuminazione TIRF) e i modi di galleria della microsfera immobilizzata (che si comporta come risuonatore ottico). In questo modo un fluoroforo che si viene a trovare molto vicino alla microsfera potrà acquisire, sempre per accoppiamento evanescente, parte della radiazione luminosa immagazzinata nei modi di galleria. Il secondo schema (figura \ref{fig:gallery_hilo}) sfrutta invece uno schema di illuminazione HILO nel quale la microsfera è raggiunta lateralmente dal fascio di eccitazione. In questo modo è possibile eccitare direttamente i fluorofori (senza dipendere dall'accoppiamento evanescente) quando questi non vengono messi in ombra dalla microsfera. Quando si trovano sul lato opposto una loro eccitazione potrebbe comunque essere resa possibile dalla luce diffusa attraverso la microsfera. Un possibile problema di questo schema riguarda la geometria imposta dalla disposizione degli elementi ottici: il fascio inclinato infatti raggiunge il campione dallo stesso lato delle trappole. In queste condizioni, specialmente all'aumentare della potenza del laser usato per la fluorescenza, potrebbe diventare significativo l'effetto della pressione di radiazione del fascio obliquo sulle microsfere intrappolate, variando la dinamica delle loro fluttuazioni e quindi influenzando la corretta esecuzione del \textit{force-clamp}. \begin{figure}[h] \centering \begin{subfigure}{0.45\linewidth} \centering \includegraphics[width=\linewidth]{images/gallery_tirf.pdf} \caption{} \label{fig:gallery_tirf} \end{subfigure} \hfill \begin{subfigure}[H]{0.45\linewidth} \centering \includegraphics[width=\linewidth]{images/gallery_hilo.pdf} \caption{} \label{fig:gallery_hilo} \end{subfigure} \centering \caption{Ipotesi di esperimenti con fluorescenza di singola molecola combinata a \textit{force-clamp} e schema di illuminazione TIRF (a) e HILO (b).} \label{fig:three_beads} \end{figure}